La Stampa, 8 dicembre 2014
«Più che un film di guerra, la storia dei sacrifici di un soldato». Così dice Clint Eastwood del suo American Sniper che racconta la vita e la morte di Chris Kyle, il cecchino d’America
La guerra in Iraq, quella lanciata da George W. Bush nel 2003, viene considerata dalla maggioranza degli analisti un grande errore strategico, politico e militare. Undici anni dopo, l’Iraq è sotto l’influenza politica dell’Iran, è diviso da letali divisioni etniche e l’odio anti-Occidente generato da quella guerra è diventato una potente arma di reclutamento per l’Isis. Quella che doveva essere una passeggiata militare è diventata una tragedia senza fine che ha generato ben pochi eroi. Ma un eroe c’è stato, almeno se si guardano le cose col punto di vista dei militari americani: è Chris Kyle.
Texano entrato nel corpo eletto dei Navy Seal, Kyle era uno «sniper», un cecchino. E non uno qualunque: nei suoi anni in Iraq ha preso di mira e ucciso 160 «selvaggi», come li chiamava, forse di più. È diventato una leggenda e se aveva un pentimento era che avrebbe potuto uccidere più nemici per salvare più vite americane. Ma nella sua autobiografia, intitolata American Sniper, emerge un uomo complesso, con più ferite psichiche di quanto voleva ammettere e diviso tra due lealtà, quella al servizio militare e quella alla famiglia.
Una vita da film, ha pensato Bradley Cooper quando ha letto il bestseller. Ha messo su 20 chili, ha interiorizzato l’accento e le cadenze di Kyle e nel film American Sniper l’attore emerso da Una notte da leoni ed eletto l’uomo più sexy del mondo è diventato una indomabile macchina da guerra, oltre ad essere uno dei candidati più forti nella corsa all’Oscar. Anche perché per raccontare la vita di Kyle, che all’inizio del 2013 è stato ucciso in un poligono di tiro da un suo commilitone che soffriva di disturbo post traumatico da stress, Cooper si è rivolto a una leggenda del cinema che a sua volta conosce una cosa o due a proposito di trasformazioni: Clint Eastwood. Il pistolero degli spaghetti western di Sergio Leone diventato raffinato autore da Oscar con film come Gli spietati, Mystic River e Million Dollar Baby ha compiuto 84 anni. Ma se il suo passo è fragile, la sua mente non perde un colpo. E quando Cooper gli ha proposto di dirigere il film si è buttato sull’opportunità. «Più che un film di guerra ci ho visto una storia sui sacrifici di un soldato», dice.
Eastwood, prima di lei avrebbe dovuto dirigere il film David O. Russell, a un certo punto si era parlato anche di Steven Spielberg. Invece....
«Invece stavo leggendo il libro, ero arrivato a una trentina di pagine dalla fine quando mi hanno chiamato dalla Warner Brothers. “Ho sentito che lo farà Steven”, ho detto. Mi hanno risposto: non più. E così ho chiesto di lasciarmelo finire e anche se il vero finale non c’era perché la tragedia della fine di Chris non era nel libro, mi sono poi incontrato con Bradley ed ora eccoci qua».
Vede Kyle come un eroe?
«Era uno che credeva che quello che faceva era giusto, che ha ucciso 160 persone e forse di più perché pensava che così difendeva il suo Paese e salvava le vite dei suoi compagni. E che a un certo punto ha cominciato a domandarsi se quello che faceva era giusto, a porsi questioni sulla moralità della guerra».
Dal punto di vista iracheno era un terrorista, l’eroe è invece il loro cecchino. Insomma, che cosa è un eroe?
«Un eroe è uno che va oltre il suo dovere per aiutare i suoi compagni in guerra o per buttarsi in un palazzo in fiamme per salvare le vite di sconosciuti. E dobbiamo stare attenti, perché ormai tutti sono degli eroi. Un po’ di tempo fa ho usato la manovra di Heimlich su uno che stava soffocando davanti a me e i giornali hanno scritto che è stata una mossa eroica. Ma io l’ho fatto perché non volevo che sputasse le polpette sul mio piatto. L’ho fatto per interesse!».
Si sente un patriota?
«Faccio parte della generazione molto patriottica venuta su con la Seconda guerra mondiale. Avevo 11 anni quando iniziò. Una volta finita, pensavamo sarebbe stata la “guerra che finiva tutte le guerre” ma quattro anni dopo eravamo in Corea. Ci domandavamo ma che diavolo ci facciamo qui, ma poi c’è stato il Vietnam e poi le due guerre in Iraq e tutte le altre. Saddam Hussein era un individuo poco popolare, ma il mondo è pieno di individui impopolari. Ti domandi se finirà mai, se sapremo mai vivere in pace, se tra un po’ di secoli magari arriveremo al giorno in cui useremo il cervello per dire basta. Ma lo dubito, la guerra è nel nostro Dna».
Sul piano personale, ha chiuso il suo secondo matrimonio e ha avuto sette figli da cinque donne diverse. Ha in vista nuove relazioni?
«Beh, non posso dire di avere avuto grande successo, ma almeno ci ho provato! E dobbiamo continuare a provare, non voglio diventare cinico e dire basta. Mai dire mai».