la Repubblica, 8 dicembre 2014
La guerra dell’austerità è stata perduta dalla Germania e l’Europa ha deciso di dare priorità alle riforme e alla crescita
Nel momento del suo trionfo politico, quando sta per essere confermata plebiscitariamente alla testa dei Popolari tedeschi, Angela Merkel trova il tempo per tornare a bacchettare Italia e Francia. Le misure di risanamento dei bilanci prese da Renzi e Hollande, dice, «non sono sufficienti». La coincidenza non è casuale. E l’attacco della Cancelliera non è un segno di forza, quanto invece un indicatore delle difficoltà in cui si trova la leader tedesca, stretta nella tenaglia tra un’Europa che sta cambiando e una larga parte del suo Paese che a questo cambiamento non si vuole piegare.
Neppure due settimane fa, la nuova Commissione europea guidata da Jean Claude Juncker ha deciso di rinviare a marzo la probabile bocciatura dei conti francesi e italiani. Merkel si dice d’accordo con quella scelta «perché entrambi i Paesi sono nel mezzo di un processo di riforme». Ma avverte, citando sempre il giudizio della Commissione Juncker, che le correzioni messe sul tavolo finora «non bastano».
In realtà, quello deciso da Juncker è stato un autentico strappo alle nuove regole europee sulla disciplina di bilancio, che gli avrebbero imposto di sanzionare la Francia e di mettere l’Italia sotto procedura di infrazione. Ma il presidente della Commissione sa bene che l’elastico dell’austerità è ormai tirato al massimo e rischia di spezzarsi, facendo saltare i delicati equilibri politici su cui si regge la moneta unica. La sua decisione di rinviare il giudizio dimostra che egli condivide l’analisi di Renzi e di Hollande secondo cui la massima priorità deve essere data alla ripresa dell’economia, senza la quale l’onere del debito diventa insostenibile. Angela Merkel, che ormai da anni si trova isolata ad ogni vertice del G20 nel difendere l’ortodossia della linea del rigore, rischiava di apparire spiazzata dalla mossa di Juncker. E dunque si adegua, dicendo di condividerla, ma ricordando al contempo che Francia e Italia devono fare di più. Del resto la settimana scorsa è riuscita a ottenere che il governo francese annunciasse un ulteriore taglio di 3,6 miliardi di euro. E sia lei sia Juncker si aspettano che anche l’Italia dia un segnale in questo senso entro la scadenza di marzo. Ma la svolta che sta incubando in Europa, e che diventerà ancora più evidente se e quando la Bce di Mario Draghi lancerà il massiccio acquisto di titoli di stato a cui si sta preparando da tempo, crea problemi alla Cancelliera anche sul piano interno. È proprio nel suo partito Cristiano democratico, e ancora di più nella Csu bavarese, sua alleata, che si annidano i più intransigenti sostenitori del rigore. E la Bundesbank, che è il vero referente ideologico dell’ortodossia monetaria, non fa mistero di essere ferocemente contraria alla massiccia immissione di liquidità che la Bce si prepara a fare con l’acquisto dei titoli di Stato.
La Germania è stata in tutti questi anni la portabandiera dell’austerità ad ogni costo, divenuta massima ideologica e imposta al resto dell’Europa in virtù della sua preminenza economica e della sua leadership politica. Ancora quest’autunno, il governo tedesco ha varato una finanziaria improntata al rigore e al pareggio di bilancio mentre tutti, dal G20 alla Commissione, sollecitavano Berlino a stimolare gli investimenti e i consumi. E lo ha fatto, ha spiegato il ministro delle Finanze Schäuble, proprio per «avere le carte in regola» e poter così giudicare l’ortodossia delle scelte compiute dagli altri governi. Ora che l’Europa si appresta a cambiare pagina, e a dare priorità alla crescita economica mostrando flessibilità sui conti pubblici, non si può immaginare che la svolta venga accettata senza scosse dall’establishment tedesco, che aveva fatto del rigore monetarista la propria matrice identitaria.
Angela Merkel, che conosce la “pancia” del proprio Paese e del proprio elettorato ancora meglio di quanto percepisca la complessità dei cambiamenti in corso a Bruxelles, se ne rende conto perfettamente. Non può, e forse non vuole neppure, riportare l’Europa ai giorni bui della troika e dei Paesi sull’orlo della bancarotta. Ma per conservare la propria leadership sulla Germania, che proprio in questi giorni viene ancora una volta consacrata, non può neppure arrendersi senza combattere. Ha bisogno di dimostrare che Berlino è ancora in grado di ottenere dai governi inadempienti qualche piccolo sforzo aggiuntivo, anche se largamente al di sotto della correzione teoricamente richiesta dalle norme europee. Che è poi quello che chiede anche la Commissione Juncker.
La battaglia, dunque, nei prossimi mesi, si giocherà su aggiustamenti di qualche decimo di punto. È una battaglia residuale, perché ormai la guerra dell’austerità è stata perduta dalla Germania e l’Europa ha deciso di dare priorità alle riforme e alla crescita. Ma Angela Merkel ha bisogno di portare a casa almeno qualche piccolo risultato per far accettare la svolta alla propria opinione pubblica. La Francia ha concesso un ulteriore taglio dello 0,2 per cento. l’Italia sarà chiamata a fare altrettanto. Renzi e Hollande hanno già vinto. Cercare di stravincere a spese della Cancelliera potrebbe rivelarsi un errore.