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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

Quei 101 indagati che hanno ridotto Roma a capitale della corruzione. Da Batman alle parentopoli, in quattro anni un’escalation di affarismo ha sfigurato la politica. Duemila posti distribuiti per clientelismo in Atac e Ama. Tangenti a Eur Spa. Varianti alla Metro C per favorire i costruttori E anche le camere mortuarie diventano occasione di business

Sono centouno, come i dalmata della carica disneyana. Centouno personaggi della Roma che conta, politici in testa ma anche funzionari comunali, rettori, comandanti dei vigili, geometri, magistrati e manager delle municipalizzate che negli ultimi quattro anni sono finiti sotto inchiesta per aver usato il loro potere per far soldi, per far arricchire gli amici o per sistemare figli e nipoti. Centouno storie che ancora prima della deflagrante scoperta di «Mafia Capitale» ci avevano segnalato l’assalto ai forzieri pubblici. Centouno tasselli che aggiunti a quelli degli affari sporchi del clan Carminati completano il mosaico del sacco di Roma.

L’immagine che per prima torna in mente, certo, è quella di «er Batman», quel Franco Fiorito il cui arresto — 2 ottobre 2012 — toglie il coperchio alla Rimborsopoli della Regione Lazio, forse il più spettacolare degli scandali non tanto e non solo per il suo picaresco protagonista ma per le feste in costume a Cinecittà o allo Stadio dei Marmi («C’erano delle gnocche travestite con gonnelline bianche» racconterà Fiorito) dove i consiglieri del Pdl spendevano i soldi dei contribuenti in aragoste e champagne. Crolla tutto, il Consiglio regionale viene sciolto, i toga-party sospesi e Fiorito — accusato di essersi appropriato di 1,4 milioni di euro — viene condannato a tre anni e 4 mesi. Ma la caccia al tesoro non è finita, come dimostra il caso di Marco Di Stefano, l’ex assessore della giunta Marrazzo, oggi deputato Pd, sotto inchiesta per una tangente da 1,8 milioni che secondo la Procura avrebbe ricevuto dai costruttori in cambio di un generosissimo contratto d’affitto per gli uffici dell’assessorato: lui non organizzava feste, ma a quanto pare con i soldi della Regione s’è comprato una laurea in Scienze Giuridiche.

Ben più sconcertante — anche se meno spettacolare — era stato lo scandalo di due anni prima, quello che ci aveva mostrato di cosa erano capaci i politici romani: la parentopoli delle municipalizzate. Due ondate di assunzioni pilotate all’Ama (raccolta rifiuti) e all’Atac (trasporti urbani) da far sbiancare i vecchi maestri del clientelismo: 1357 posti di operatori ecologici, autisti di compattatori, seppellitori, dirigenti e semplici impiegati all’Ama e altri 854 (per chiamata diretta) nell’azienda di bus e tram, un’occupazione fisica delle municipalizzate da parte della giunta Alemanno, una generosissima lotteria a numero chiuso che distribuiva cariche e stipendi a figli, generi, nipoti, amanti e segretarie della destra romana (compresa una cubista assunta all’Atac per meriti ancora oggi misteriosi).

Ma non bastavano le assunzioni. All’Atac gli uomini nominati da Alemanno si erano messi a stampare anche biglietti falsi, ovvero autentici ma con numeri di serie non registrati e dunque non fatturati, rivenduti ai distributori per accumulare fondi neri a San Marino da distribuire ai politici, agli amici e probabilmente a loro stessi: sono indagati in sei, e ancora non si sa quanto fosse profondo quel pozzo.

Non si sa nemmeno — al momento — a chi sia finita la maxi-mazzetta di 800 mila euro per la quale il 25 marzo 2013 finisce in manette l’ex amministratore delegato di Eur Spa Riccardo Mancini (altro sodale di Alemanno, anche lui arrestato con Carminati e soci). Di certo c’è che la Breda Menarini l’ha pagata per ottenere l’appalto per 45 filobus da impiegare sulla nuova linea di Tor Pagnotta, e che proprio l’amministratore delegato della società, dal carcere, ha chiamato in causa Mancini. Ma l’amico dell’ex sindaco, che all’Eur Spa aveva nominato direttore commerciale il camerata Carlo Pucci (ex di “Terza Posizione”), anche in cella tiene la bocca chiusa.

Hanno fatto invece un salto sulla sedia i 21 manager, funzionari pubblici e rappresentanti dei costruttori che otto settimane fa si sono ritrovati sotto indagine dalla Corte dei Conti per l’appalto della Metro C. Per il danno causato alle casse pubbliche dalle 45 varianti accordate ai costruttori per il primo tratto della linea C, adesso si sono visti chiedere dalla magistratura contabile l’astronomico risarcimento di 364 milioni di euro. Altri due dirigenti di «Roma Metropolitane» sono contemporaneamente indagati per abuso d’ufficio per aver riconosciuto ai costruttori un indennizzo di 230 milioni di euro sul quale i magistrati vogliono hanno, a quanto pare, molti sospetti.

Ma non ci sono solo politici e manager, nel racconto del sacco di Roma. Anche i vigili urbani hanno voluto dare il loro contributo. L’ex comandante Angelo Giuliani è stato arrestato per corruzione, accusato di aver fatto assegnare l’appalto per la pulizia delle strade dopo gli incidenti a una società amica, la «Sicurezza e ambiente», in cambio di 30 mila euro versati come sponsorizzazioni per il circolo della polizia municipale. Altri due vigili sono stati arrestati per aver cancellato migliaia di multe, ovviamente senza averne il potere. E altri tre sono finiti in manette perché avevano tentato di estorcere 60 mila euro ai commercianti del centro, tempestandoli di multe.

Ormai nella Capitale tutto si può comprare e tutto si può vendere. Comprese le sentenze. Può confermarlo il giudice del Tar Franco Angelo Maria De Bernardi che l’anno scorso è stato arrestato insieme ad altri sei con l’accusa di aver venduto le sue sentenze ai «clienti» che potevano permetterselo, una lista nella quale figuravano anche due ammiragli della Marina Militare.

Non si salva neanche l’università, teatro dieci anni fa della compravendita degli esami: in tempi di crisi, anche i professori pensano ai figli. E al rettore Luigi Frati, che è appena andato in pensione, non bastava aver dato una cattedra alla moglie e alla figlia. Adesso è sotto processo per abuso d’ufficio, accusato di essersi inventato una «Unità programmatica di cardiochirurgia» solo per farne diventare direttore il figlio prediletto, Giacomo.

A Roma non ci si ferma davanti a niente. Neanche davanti alla morte, che per qualcuno è diventata un lucrosissimo business: ne sanno probabilmente qualcosa quei 29 politici, dirigenti delle Asl e naturalmente impresari di pompe funebri sui quali la Procura sta indagando per associazione a delinquere di stampo mafioso e voto di scambio politicomafioso dopo aver visto quello che succede negli ospedali romani. Tra ai 29 sotto inchiesta ci sono l’ex senatore di An Domenico Gramazio e suo figlio Luca, fino a tre giorni fa capogruppo di Forza Italia alla Pisana. Era lui che annunciava euforico, nella villa di Carminati: «Stanno ad arrivà i sordi, alla Regione!». Ora si è dimesso: per lui non ci sarà un altro giro.