Corriere Economia, 8 dicembre 2014
Quando il poker non è un gioco. L’élite dell’hi-tech della Silicon Valley s’incontra una volta al mese a Palo Alto, nella villa del venture capitalist Chamath Palihapitiya per sedere al tavolo verde per imparare l’arte del rischio e del bluff
È l’evento più esclusivo e atteso della Silicon Valley. Una volta al mese, l’élite dell’hi-tech si ritrova a Palo Alto, nella villa del venture capitalist Chamath Palihapitiya, già capo della divisione instant messaging di AOL e uno dei primi top manager di Facebook. Da Sky Dayton, fondatore di EarthLink, a Jason Calacanis, n.1 di Inside.com; da Roger Sippl di Informix, venduta alla Ibm per un miliardo, a Mark Pincus di Zynga. Non s’incontrano per discutere di opportunità d’investimento nell’ultima, ingegnosissima, startup, ma per sfidarsi a poker, il gioco che ossessiona la Bay Area.
Perché il poker richiede (e insegna) velocità di decisione, capacità di rischiare e di bluffare. Le stesse competenze indispensabili nel mondo degli affari. E non è un caso che alcuni tra i più grandi investitori di Wall Street, da Carl Icahn a David Einhorn, a Steve Schonfeld, ne siano appassionati. Questo vale ancor di più per le startup, dove proprio come a poker se ti muovi con furbizia puoi superare qualsiasi avversità, o perdere tutto con un solo passo falso quando pensavi di stravincere.
Il livello dei pokeristi amatoriali della Silicon è altissimo, e non a caso giocano con loro alcuni tra i professionisti più famosi, come il 12 volte campione mondiale del Texas Hold’em Phil Hellmuth, che giura di non aver mai avuto avversari più agguerriti. «L’idea era di mettere allo stesso tavolo alcuni tra i nomi più competitivi dell’hi-tech e vedere che succede», racconta a Business Insider Palihapitiya, che organizza a casa sua da qualche anno e nel 2011 è arrivato 101esimo, su oltre settemila, alle World Series del Poker, il torneo più prestigioso del pianeta, disputato a Las Vegas ogni estate.
«Perché a fronte di regole semplici, la strategia, nel poker, è intensissima. È un gioco mentale, che richiede intelligenza e disciplina. Ecco perché così tanti di noi ne vanno pazzi».
Nomi come David Sacks, fondatore di Yammer e già chief operating officer di PayPal, o Dave Goldberg, Ceo di SurveyMonkey giocano per ore, a volte fino alle due del mattino, la tensione alle stelle. E se non manca qualche bluff da 10 mila dollari, le somme giocate sono in genere modeste (spesso vanno in beneficenza), perché l’obiettivo non è quanto si vince. «È l’adrenalina – spiega Palihapitiya —. Il brivido di sfidare dei titani d’ambizione. Ti chiedi, Posso batterlo?La stessa domanda che ti poni sul lavoro. Perché nelle startup, come nel poker, tutto può accadere. Non importa quale carta ti sia capitata inizialmente: se ti muovi bene puoi cambiare le sorti del gioco. È come nascere in circostanze sfortunate e con scaltrezza, determinazione e un po’ di fortuna riuscire a diventare miliardario».
Lui ne sa qualcosa. Emigrato in Canada dallo Sri Lanka, prima di diventare, a 26 anni, il più giovane vice president di AOL, viveva coi sussidi per le famiglie povere. Stessa filosofia di Pincus, che ha inventato Zynga Poker, tra i giochi social più diffusi al mondo: «Bisogna gestire la startup come una partita – raccomanda –. A poker non giochi mai tutte le mani, sprecando le tue chip. Ma quando ce n’è una buona vai all-in».
S’impara anche a perdere. «Se ti lasci deprimere da una sconfitta, inevitabilmente si ripercuoterà sulle tue scelte successive – osserva Palihapitiya —. Bisogna invece sgombrare la mente, buttarsi alle spalle l’insuccesso. Il poker insegna questa disciplina mentale».
Le aziende tradizionali hanno un’aspettativa di vita molto lunga. Le startup in media 5-7 anni. Molto più vicine al poker, dove una mano si risolve in pochi secondi. Ogni round è un microcosmo: riflette la lotta quotidiana per la vita.