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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

Il paese è tornato in recessione, domenica le quinte elezioni anticipate in nove anni. Le ha volute il premier Abe: una verifica politica per capire il futuro dell’Abenomics

Il paese è tornato in recessione, domenica le quinte elezioni anticipate in nove anni. Le ha volute il premier Abe: una verifica politica per capire il futuro dell’Abenomics Il Giappone torna domenica prossima, 14 dicembre, alle urne per le elezioni politiche nella speranza che gli elettori aiutino il Paese ad uscire dalla sua crisi infinita. Il grande malato del capitalismo asiatico è di nuovo in recessione, la lotta contro la deflazione non sta ottenendo i risultati promessi, il debito pubblico record minaccia la stabilità dello Stato e la svalutazione dello yen concede ossigeno alle multinazionali, ma soffoca le piccole e medie imprese. I l blocco delle centrali atomiche, dopo la crisi a Fukushima nel 2011, contribuisce a togliere competitività alle industrie e l’invecchiamento della popolazione, sommato al blocco dell’immigrazione, grava come un macigno sul welfare. La terza economia del mondo affronta il periodo più nero dal dopoguerra, vede che la Cina va alla conquista dell’Occidente e si allontana, mentre l’alleato Usa fatica a mantenere i vecchi accordi di difesa nel Pacifico. Prossima all’ultima spiaggia, Tokyo ricorre così alla politica per dare risposte ad un’economia incapace di reagire: ben sapendo che però, dopo il 14 dicembre, saranno i mercati e non gli elettori a stabilire se le quinte elezioni anticipate in otto anni riusciranno a concedere altro tempo alla superpotenza più indebitata del pianeta. Il premier conservatore Shinzo Abe, tornato al potere grazie al voto anticipato del 2012, si è risolto allo strappo per evitare di annegare nei fallimenti delle sue riforme economiche ultra-espansive, per arginare i dissensi interni al centro-destra in vista delle presidenziali del 2016 e per approfittare della perdurante assenza di leadership dentro l’opposizione democratica. Ha così trasformato le elezioni per i 480 seggi della Camera Bassa in un vero e proprio referendum anticipato sull’Abenomics, chiedendo ai sempre più spaventati giapponesi un mandato in bianco per realizzare senza più ostacoli le riforme economiche, il ritorno al nucleare e il cambio della Costituzione pacifista post-bellica, avviando il riarmo nazionale. Al centro dell’attenzione globale in queste ore c’è proprio il destino dell’Abenomics di Tokyo, il complesso di misure espansive tese a stimolare i consumi per aumentare l’inflazione e riagganciare la crescita. Nel 2013 il Giappone di Shinzo Abe era stato il nuovo profeta dei mercati, ponendosi come l’alternativa al rigorismo europeo della Germania di Angela Merkel, accusata di soffocare la ripresa nella zona euro. Il Giappone aveva rivisto il segno più, la Borsa aveva chiuso in campo positivo e lo stesso governatore della Banca centrale si era spinto ad confermare la prospettiva di un’inflazione al 2% entro il 2016. La mazzata è arrivata in primavera. Abe ha dovuto mantenere l’impegno assunto dai democratici dell’ex premier Yoshihiko Noda e da aprile la tassa sui consumi è salita dal 5 all’8%. Il risultato è stato un nuovo crollo di spesa e produzione. Ai primi di settembre il leader nazionalista dei liberaldemocratici (Ldp), pressato dalle lobby industriali e degli avversari interni, ha tentato di salvarsi con un rimpasto di governo all’insegna della «svolta rosa», naufragato in nuovi scandali e in altre dimissioni a fine ottobre. A questo punto l’incubo di Abe è diventato mantenere la seconda parte della promessa dei democratici (DpJ), ossia un altro aumento dell’Iva dall’8 al 10% nel maggio 2015. Avviare il risanamento dei conti pubblici, sommersi da un debito prossimo al 240% del Pil, secondo Abe sarebbe coinciso con il naufragio definitivo dell’«Abenomics», trasmettendo il contagio della recessione anche al mercato del lavoro. A Tokyo le tensioni sono diventate insostenibili a metà novembre. Il Pil del terzo trimestre 2014 si è rivelato in calo per la seconda volta consecutiva, segnando meno 1,6% su base annua. La Borsa di Tokyo è arrivata a perdere il 2,96%, mentre lo yen ha toccato il minimo sul dollaro degli ultimi sette anni. Lo stesso governatore della BoJ, Haruhiko Kuroda, fedelissimo di Abe, ha lanciato l’allarme svalutazione e solo affrontando la spaccatura del suo board è riuscito a varare un nuovo maxi-piano di stimoli, iniettando liquidità nel mercato. A inizio dicembre è arrivata infine la bocciatura del rating. Moody’s ha tagliato la valutazione di Tokyo da AA3 a A1, il livello di Lituania e Repubblica Ceca, spiegando che proprio il rinvio di diciotto mesi del secondo aumento dell’Iva alimenta incertezze sull’efficacia delle misure pro-crescita e sulla sostenibilità del debito nel medio termine, se pure non finanziato dall’estero. Shinzo Abe riporta così il Giappone alle urne, dopo una campagna elettorale lampo di sole tre settimane, nel momento in cui la nazione non ha alternative né economiche, né politiche, promettendo il congelamento dell’Iva. I giapponesi nei sondaggi hanno bocciato la sua scelta del voto anticipato, accusandolo di aver pensato a mantenere il potere personale piuttosto che salvare realmente il Paese, costretto ad una «spesa inutile» di 500 milioni di dollari. Nonostante il malcontento, stando alle intenzioni di voto l’Ldp resta nettamente in vantaggio e domenica vincerà le elezioni, come sempre da sessant’anni, a parte due brevi parentesi. Il centrodestra di Abe è tra il 28 e il 34%, rispetto al 10-13% del DpJ di Banri Kaieda. Staccata l’estrema destra del neo-nazionalismo radicale e il New Komeito. Per la prima volta in due anni il gradimento del governo è però sceso sotto il 50%, quello di Abe è al minimo e il 41% dei giapponesi si dichiara indeciso. Il premier, per aggiungere pressione, ha promesso che in caso di sconfitta alla Dieta si dimetterà, chiudendo l’era dell’«Abenomics». In caso di vittoria, pretende invece il permesso di scagliare anche la sua «terza freccia»: dopo massiccio stimolo fiscale e iniezione di liquidità del sistema, toccherà alle «riforme strutturali», che minacciano di sconvolgere i decennali interessi di grandi imprese e burocrazia, per «restituire forza e competitività al modello made in Japan». Una scommessa incerta, ma l’alternativa democratica appare ancora più debole: insistere nell’aumento dell’Iva in primavera per salvare conti pubblici, welfare e valore dei titoli di Stato. L’ex motore di export, crescita e hi-tech, rischiando una deriva stile Weimar, si sveglia dunque dall’euforia dell’Abenomics con un piede costretto sull’acceleratore e l’altro sul freno, nei panni di un paziente obbligato a medicine con effetti collaterali che potrebbero rivelarsi più forti delle cure. Rispetto ad Abe, Tokyo non ha un piano B: il problema è che, anche in Occidente, sono sempre meno quelli disposti a scommettere sul successo del piano A. La Borsa di Tkyo: l’indice Nikkei ha conosciuto un anno molto sofferto in coincidenza con gli alti e bassi delle complesse riforme economiche che il Giappone sta tentando di realizzare per uscire da una crisi ventennale.