Affari & Finanza, 8 dicembre 2014
Il trattamento privilegiato per le banche tedesche. Gran parte degli istituti regionali e locali sono sfuggiti agli stress test. Il rigore non vale in Germania
L’ ultimo scandalo in ordine cronologico è stato piccante e galeotto, di natura sessuale. Walter Kleine, 55 anni, ha dovuto gettare la spugna dopo aver molestato per mesi alcune dipendenti giovani e carine. Può succedere ovunque. Ma il caso di Herr Kleine, numero uno appena dimessosi della Sparkasse di Hannover è solo la punta dell’iceberg. Di un iceberg visibile, anzi: Sparkassen e Landesbanken sono un mondo opaco. L e Sparkassen sono le casse di risparmio, le Landesbanken sono le banche che appartengono in comproprietà ad alcuni dei sedici Bundeslaender, cioè gli Stati che compongono la Repubblica federale. Lobbyismo, complicità, amicizie e favori con i poteri politici locali e federali, perdite per miliardi, affari illeciti. Se la trojka fosse stata incaricata di indagare su Sparkassen e Landesbanken con la durezza con cui ha posto sotto esame la Grecia, la Bundesrepublik ne sarebbe uscita male. Ma non è stato così: solo sei Landesbanken sono state sottoposte agli stress test e poi alla vigilanza unica della Banca Centrale Europea, e hanno passato l’esame. Le altre Landesbanken, e le Sparkassen, no. Ma è il sistema bancario tedesco nel suo complesso, che sembra essere sempre un po’ “più uguale degli altri”. Come ha detto Ignazio Angeloni, membro del supervisory board della vigilanza bancaria europea, i criteri di discrezionalità nazionali utilizzati in occasione dei due test di stress e sulla qualità degli attivi sono stati ben 103. E hanno pesato molto nel risultato finale, finendo per gonfiare di 126 miliardi la patrimonializzazione del campione esaminato. Parlando di singoli paesi, Angeloni ha notato che le banche tedesche hanno beneficiato di filtri prudenziali e altri tipi di deroghe per oltre 30 miliardi, quelle spagnole circa 25 miliardi, mentre per le italiane l’ammontare delle eccezioni è attorno ai 15 miliardi. «Ci vorrebbe più trasparenza su queste esenzioni, e in generale più certezza nelle misure di gestione e aumento di capitale, le quali non dovrebbero essere dipendenti da discrezionalità nazionali», ha dichiarato Angeloni all’agenzia Bloomberg. Ecco tre esempi di trattamento dispari: i crediti ristrutturati in Germania possono diventare immediatamente «buoni», mentre in Italia per almeno due anni le partite ristrutturate devono permanere tra i crediti deteriorati. Oppure i criteri di calcolo del valore delle garanzie: sempre a fair value al di qua delle Alpi, al valore nominale se si tratta di garanzie immobiliari tedesche. O infine gli avviamenti, che in Germania sono inclusi nel patrimonio, una possibilità che la Banca d’Italia non concede. Ci sono poi le asimmetrie risultanti dal modo in cui le verifiche sugli attivi svolte dalla Bce (i cosiddetti Aqr) hanno ponderato diversi tipi di rischi. Mentre i crediti sono stati falcidiati, l’Eurotower ha usato la mano leggera per derivati e strutture finanziarie complesse, quelle per cui la contabilizzazione è delegata a sistemi interni agli istituti. Le quattro banche europee più esposte su questi attivi, chiamati «di terzo livello», sono Bnp Paribas, Crédit Agricole, Bpce e Deutsche Bank, che a fine 2013 ne detenevano per 74 miliardi di euro. Ma in seguito agli Aqr le rettifiche complessive sono state di appena 1,2 miliardi di euro, l’1,6 per cento del valore di quegli attivi. E Deutsche Bank, che ne è un po’ la regina – nel 2013 aveva attivi level 3 pari al 70 per cento del patrimonio netto tangibile – le rettifiche sono state di 94 milioni, lo 0,32 per cento; fortuna che si parla di strumenti ad alto rischio e prezzi incerti. Ma si sa, ovunque un meccanismo collettivo veda la presenza dominante d’una potenza egemone, se tutti sono uguali alcuni sono più uguali degli altri. Per cui ad esempio gli aumenti di capitale sostenuti dalla mano pubblica per le banche. I dati ufficiali dell’Unione Europea parlano chiaro: tra il 2008 e il 2012 la Germania ha rimpolpato con 64 miliardi di euro il suo sistema bancario malato, che all’inizio della crisi dei subprime si fece trovare zeppo (circa 500 miliardi) di mutui immobiliari statunitensi di basso valore e alto rendimento, e quando scoppiò la crisi sovrana si rivelò il primo investitore dei debiti di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna (altri 535 miliardi). Per questo la mano pubblica tedesca ha dovuto pagare forte, un assegno pari al 2,4% del Pil. E qui si sorvola sul doppio gioco politico, perché è ormai una verità storica che la severità dei tedeschi nelle istituzioni comunitarie nei confronti dei paesi cicala è servita anche a proteggere l’esposizione e il rientro in emissioni periferiche delle banche teutoniche. In Italia, invece, gli aiuti di Stato sono stati quasi assenti: 6 miliardi nei quattro anni neri, uno 0,5% del Pil tricolore e quasi tutti restituiti con gli interessi (resta solo un miliardo di bond convertibili al Monte dei Paschi). E qui parliamo delle sole banche semipubbliche o locali che sono state ‘visitate’ dagli stress test: chissà quanto hanno intascato le altre, esentate a seguito del vittorioso pressing del potere il cui volto è inevitabilmente, sulla scena globale, quello di Angela Merkel. Le Landesbanken che sono state sottoposte allo stress test sono solo una parte, le Sparkassen si sono salvate. E anche questo non è stato un vantaggio da poco, per Berlino. Quando ai primi di settembre la Bce pubblicò l’elenco delle 120 banche che sarebbero finite sotto la lente della vigilanza unica, emerse rumorosamente l’assenza di mezza Germania bancaria: ben 1.697 banche su 3.532 tedesche non superavano la soglia sistemica, quindi sarebbero rimaste sotto l’ombrello grigio delle vigilanze locali. Tra queste tutte le Sparkassen, tutte le cooperative (Volksbanken o Raiffeisenbanken), che costituiscono l’ossatura finanziaria di imprese e politica locali in tutto il paese. L’autorevole pensatoio bruxellese Bruegel mise a nudo la cosa, negoziata al Consiglio Ecofin nove mesi prima: «L’eccezione fu introdotta durante il negoziato al Consiglio, apparentemente dopo la forte insistenza della Germania – ha detto l’economista Nicolas Véron – le conseguenze sulla struttura dell’Unione bancaria sono asimmetriche. Bisogna vedere se genereranno, o meno, tensioni politiche in futuro». Ma parliamo delle sei Landesbanken, tutte promosse agli esami della Bce. Bayerische Landesbank, 10 miliardi bruciati per affari oscuri con la Alpe-Adria e con l’allora governo dello Stato austriaco di Carinzia ai tempi di Joerg Haider, il leader fondatore della nuova destra euroscettica austriaca, che poi morì guidando in eccesso di velocità sotto effetto di alcol e droghe dopo un party omosessuale. Hsh, la banca pubblica del Nord, uscita malissimo nei media per un’inchiesta. Landesbank Baden-Wuerttemberg; Landesbank Berlin della capitale iperindebitata che non riesce neanche a costruirsi un aeroporto moderno, decente e sicuro; la Landesbank che unisce l’Assia (lo Stato di Francoforte) e la Turingia, Stato-pilota dell’ex Est tedesco. Davvero sono tutte più sane e credibili delle banche italiane o di altri Stati dell’Europa meridionale bocciate negli stress test? E davvero non andrebbero esaminate, in nome di un settore bancario sano nell’Unione Europea, anche le Sparkassen? Le risposte dei massimi economisti tedeschi tendono a essere prudenti e quasi assolutorie, eppure qua e là ammettono o lasciano capire che qualcosa non va. «Le Sparkassen si sono rivelate un fattore di stabilità durante la crisi finanziaria internazionale», dice la professoressa Dorothea Schaefer, massima esperta in materia del Diw, forse il più indipendente tra i grandi istituti di analisi economica qui. E aggiunge: «Non è un problema di situazioni tipo ‘too big to fail, le Sparkassen hanno i loro affari tradizionali con clienti tradizionali, cioè depositi di risparmio e crediti ad aziende locali». Ma sulle Landesbanken già il giudizio di Schaefer si fa più differenziato: «Sono state fortemente coinvolte nella crisi, e una, la Westdeutsche Landesbank, è stata chiusa». E poi ancora: «I bilanci delle Landesbanken si sono molto rimpiccioliti, forse le Landesbanken sono ancora troppe, sebbene gli sviluppi degli ultimi anni vadano nella direzione giusta. In tema responsabilità c’è ancora molta strada da fare». Allora, continuare a chiudere? E come peserebbe ciò sul rating della potenza egemone d’Europa? Qui le risposte si fanno più possibiliste e vaghe. «Visto che la maggioranza delle banche tedesche hanno superato gli stress test, ciò riguarda sicuramente anche le Landesbanken esaminate», continua Dorothea Schaefer, e aggiunge: «E verosimilmente l’avrebbero superato anche la maggioranza delle Sparkassen. I loro affari sono soprattutto locali e vista la stabile situazione economica non hanno tanti crediti in sofferenza». Verità ufficiali, verità parziali. Le perdite delle Landesbanken negli ultimi anni ammontano a miliardi di euro, per crediti e affari dubbi decisi e conclusi con l’intesa dei poteri politici locali. Dalla Baviera, dove si parla appunto di 10 miliardi in rosso per lo scandalo dell’appoggio ad Alpe-Adria ai tempi di Haider, fino alla LBBW, la Landesbank del ricchissimo Baden-Wuerttemberg, i cui dirigenti sono stati oggetto di indagini della magistratura per sospetto di malversazione. O al caso limite della WestLb, Westdeutsche Landesbank, quella che appunto è stata costretta a chiudere dopo aver parcheggiato i propri affari più sofferenti e sporchi in una bad bank appoggiata dal potere pubblico locale. Il problema, dice Rolf Hess del sito investigativo Jungle World, è anche la confusione giuridica: le Landesbanken sono ‘istituzioni di diritto pubblico’, che però con le spalle coperte dai poteri politici si presentano sui mercati come banche d’affari. E insieme ai Bundeslaender, i loro proprietari o azionisti di riferimento sono le Sparkassen. Coesistenza d’affari e interessi diversi, perché appunto le Sparkassen vivono di piccola clientela prima di tutto, le Landesbanken appoggiano le grandi medie e piccole aziende locali. Con quali controlli, con quali garanzie di rigore? La HSH Nordbank, la banca semipubblica dei Bundeslaender di Amburgo e Schleswig Holstein, si è salvata di recente solo con aiuti per diversi miliardi di denaro dei contribuenti, dopo anni di pratiche finanziarie disinvolte e di retribuzioni spaventosamente alte dei suoi dirigenti. La WestLB è stata chiusa, come scrivevamo, ma solo per il pressing – un’eccezione – delle autorità di Bruxelles. I miliardi di perdite alla fine erano diventati troppi: 1,2 miliardi di perdite dopo la restituzione alle autorità di 1,4 miliardi di aiuti ritenuti illeciti dalla Ue nel 2004, poi 3,4 miliardi di altri aiuti illeciti denunciati e bocciati da Bruxelles nel 2010, alla fine (2013) perdite totali per 18 miliardi di euro. Dieci almeno, sempre secondo i media liberal tedeschi, sono i miliardi bruciati dalla Bayerische Landesbank con Alpe Adria ma anche, denuncia la Sueddeutsche, col controverso Bernie Ecclestone. E sospetti – nati in Austria sul conto della Bayerische Landesbank – di falso in bilancio.