Corriere della Sera, 8 dicembre 2014
I due errori di Barenboim, la voce stridula di Anja Kampe e quel ridicolo Pizarro di Falk Struckmann, che parla e non canta e la voce gli balla il tango... La prima della Scala secondo Paolo Isotta e «chi ha tanto ammirato la recita odierna tenga conto che io sono al mio quarantesimo 7 dicembre»
Il primo errore di grammatica del maestro Daniel Barenboim, direttore del Fidelio inaugurale alla Scala, è stato quello di aver aperto l’Opera con la grandiosa Ouverture Leonora n. 2, che ne esaurisce del tutto il percorso drammatico e che Beethoven aveva espunta. Il Barenboim crede di saperla più lunga dell’Autore; ed ecco perché la mezza cultura è peggiore della completa ignoranza. Il secondo è stato quello di aver scelto la regia di una Deborah Warner. Fino a metà del II atto essa mi pareva povera per avvilire in una sporca quotidianità la terribilità tragica; ma quando all’ultimo quadro la fabbrica dismessa viene occupata da un popolo di straccioni agitanti stracci rossi, ci si rende conto che oggi la migliore regia straniera non vale la peggiore italiana.
Per il resto Barenboim dirige con correttezza, tempi troppo lenti e concerta malissimo il coro. Egli ha prescelto quale Leonora una Anja Kampe che un tempo si sarebbe detto al di sotto di una comprimaria: sconosce la grande declamazione tragica, ha una vocina stridula all’acuto, inesistente al centro, ventrale al grave. Ridicolo è il Pizarro di Falk Struckmann, che parla e non canta e la voce gli balla il tango. Klaus Florian Vogt, Florestano, è un tenore caratterista, adatto per Mime, invece che un tenore eroico.
Modesto il don Fernando di Peter Mattei. Ottimi il Rocco di Kwangchul Youn, la Marcellina di Mojca Erdmann, il Jaquino di Florian Hoffmann, dotato di peso tenorile superiore a quello di Florestano: le sole scelte giuste del maestro Barenboim.
Chi ha tanto ammirato la recita odierna tenga conto che io sono al mio quarantesimo 7 dicembre.