la Repubblica, 8 dicembre 2014
Fabrizio Corona chiede la grazia a Napolitano. Condannato a 14 anni e 2 mesi (poi ridotti a 9 anni e 8 mesi) per una serie di reati dice di non voler scappare dalla sua pena o di farla franca, «chiedo solo aiuto per poter superare quel tecnicismo giuridico che impedisce al tribunale di sorveglianza di concedermi l’affidamento terapeutico e poter così proseguire quel percorso di cura di cui oggi ho bisogno».
È nero su bianco: Fabrizio Corona ha chiesto la grazia al Capo dello Stato. A confermare la notizia a Repubblica è l’avvocato Ivano Chiesa, legale dell’ex re dei paparazzi detenuto nel carcere di Opera e condannato a 14 anni e 2 mesi (poi ridotti a 9 anni e 8 mesi) per una serie di reati. «La domanda di clemenza al Presidente ha preso la strada per Roma», dice Chiesa. Si tratta, come previsto, di una richiesta di grazia parziale. Al Quirinale, in sostanza, viene chiesto di intervenire per rimuovere dal cumulo di condanne a 9 anni i cinque «ostativi» legati all’estorsione aggravata ai danni del calciatore David Trezeguet (il quale ha peraltro negato di avere ricevuto minacce dall’estorsore). È questo il macigno che schiaccia l’ex agente fotografico. È questo il reato per il quale è stato dichiarato soggetto pericoloso, alla stregua di un mafioso e con tutte le restrizioni del caso: niente sconti, niente percorso rieducativo e terapeutico, almeno 5 anni in cella. L’obiettivo della «grazia parziale» a cui punta la difesa è proprio questo: affrancare Corona dal «reato ostativo» che gli preclude l’accesso all’affidamento terapeutico. «Non voglio scappare dalla mia pena o farla franca – ha fatto sapere Corona – Voglio scontare la condanna. Chiedo solo aiuto per poter superare quel tecnicismo giuridico della mia condanna di Torino (quella di Trezeguet, ndr) che impedisce al tribunale di sorveglianza di concedermi, come invece hanno richiesto gli operatori sanitari del carcere, l’affidamento terapeutico e poter così proseguire quel percorso di cura di cui oggi ho bisogno».
Torniamo al fascicolo della domanda di grazia. Da quanto si apprende, il documento redatto da Ivano Chiesa – tra i più noti penalisti del Foro di Milano – porterebbe la firma dello stesso Corona. La legge prevede che a richiedere la clemenza del presidente della Repubblica possa essere il condannato o altre persone a lui vicine: un congiunto, il convivente, il tutore o curatore, oppure l’avvocato. L’incartamento è stato presentato al ministero della Giustizia e diretto al Quirinale (quando il richiedente è detenuto si può passare anche dal magistrato di sorveglianza). Quali passaggi seguiranno ora? Il primo è l’apertura di un procedimento per valutare il caso Corona. Il parere sarà espresso dal magistrato di sorveglianza sulla base di un’istruttoria che raccoglie «ogni utile informazione relativa, tra l’altro, alla posizione giuridica del condannato, all’intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato, ai dati conoscitivi forniti dalle forze di polizia, alle valutazioni dei responsabili degli istituti penitenziari». Il fascicolo verrà poi trasmesso al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che darà il suo parere e lo trasmetterà a Napolitano. È al Capo dello Stato – come stabilito dalla Corte Costituzionale con una sentenza del 2006 – che «compete la decisione finale». Quale sarà il giudizio del Quirinale? Difficile fare ipotesi. È vero che in questi mesi la grazia per Corona è stata invocata da un largo numero di personaggi pubblici, artisti e intellettuali. Ma è anche vero che la fama del detenuto, il suo comportamento arrogante e esibizionistico, «negativo per i giovani» e «sprezzante verso i giudici» (ipse dixit), espongono Napolitano al vaglio severo dell’opinione pubblica. Anche da qui la decisione della difesa della richiesta parziale: per non mettere il Quirinale di fronte a una scelta troppo difficile. «Quattordici anni sono una pena da omicidio in abbreviato – ragiona l’avvocato Chiesa – Su Corona c’è stato un accanimento. Certe condanne sono stravaganti e eccessive. Penso al caso Trezeguet: due foto scattate per strada, con l’estorto che dichiara di non avere ricevuto nessuna minaccia dall’estorsore».