la Repubblica, 8 dicembre 2014
«Che facciamo con i divorziati, che porta si può aprire? La soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Bisogna aprire un po’ di più le porte». Parla Papa Francesco
«Dio è buono con me, mi dà una sana dose di incoscienza. Sto facendo quello che devo fare». «Fin dal primo momento mi sono detto: “Jorge, non cambiare, rimani te stesso, perché cambiare alla tua età è ridicolo”». Rilassato e di buon umore, Francesco concede a La Nación un’ampia intervista sui temi più caldi sui quali si confronta oggi la Chiesa.
Il Rinnovamento della Chiesa, a cui lei richiama, mira anche a cercare le “pecorelle smarrite” e a frenare l’emorragia di fedeli?
«Non mi piace usare l’immagine dell’”emorragia”, perché è molto legata al proselitismo. Mi piace usare l’immagine dell’ospedale da campo: c’è gente molto ferita che aspetta che andiamo a sanare le sue ferite, ferite dovute a mille ragioni. C’è gente ferita dall’incuria, dall’abbandono della Chiesa stessa, gente che sta soffrendo terribilmente».
Lei è un Papa che parla in modo diretto. Perché secondo lei ci sono settori che si sentono disorientati, che dicono che «la barca è senza timone» dopo il recente Sinodo sulla famiglia?
«Mi stupiscono queste espressioni. Non mi risulta che siano state dette. In effetti, uno una volta mi ha detto: “Questa cosa del discernimento fa bene, ma abbiamo bisogno di cose più chiare”. E io gli ho detto: “Guardi, ho scritto un’enciclica a quattro mani e un’esortazione apostolica. Faccio continuamente dichiarazioni, omelie. Questo è ciò che io penso, non quello che i media dicono che io penso. Vada a vedere e lo troverà, ed è molto chiaro; la Evangelii Gaudium è molto chiara”».
Al Sinodo si è parlato dei gay?
«Nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale. Abbiamo parlato di come una famiglia che abbia un figlio omosessuale lo debba educare e di come aiutare questa famiglia. Dunque al Sinodo si è parlato della famiglia e delle persone omosessuali in relazione alle loro famiglie, perché è una realtà che incontriamo nei confessionali».
E dei divorziati risposati cosa dice?
«Che facciamo con loro, che porta si può aprire? C’è un’inquietudine pastorale: allora gli andiamo a dare la comunione? Non è una soluzione dargli la comunione. Questo soltanto non è la soluzione, la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Bisogna aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? “Che testimonianza darebbero al figlioccio?”. La testimonianza di un uomo e una donna che dicano: “Guarda, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti”. Ma che testimonianza cristiana è questa? Se arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza darà al figlioccio? Testimonianza di corruzione?».
Ogni volta che c’è un cambiamento dello status quo, com’è stato il suo arrivo in Vaticano, è normale che ci siano delle resistenze. Dopo poco più di 20 mesi, questa resistenza, all’inizio silenziosa, sembra essere più evidente...
«Questa parola l’ha detta lei. Le resistenze adesso si rendono evidenti, ma per me è un buon segno che le manifestino, che non le dicano di nascosto quando uno non è d’accordo. È sano chiarire le cose; è molto sano».
La resistenza ha a che fare con la pulizia che lei sta facendo, con la ristrutturazione interna della curia romana?
«Considero le resistenze come dei punti di vista diversi, non come una cosa sporca. Ha a che vedere con delle decisioni che prendo, certo. Ci sono delle decisioni che toccano alcuni aspetti economici, altre aspetti più pastorali».
È preoccupato?
«No, non sono preoccupato, mi sembra tutto normale, perché sarebbe anormale che non esistessero dei punti di divergenza. Sarebbe anormale che non venisse fuori nulla».
È finito il lavoro di pulizia o prosegue?
«Non mi piace parlare di “pulizia”. Direi che si tratta di far camminare la curia nella direzione che le congregazioni generali [le riunioni che precedono il conclave, NdT ] hanno chiesto. No, ma c’è ancora molto da fare. C’è da fare, c’è da fare».
Ciò che si è trovato facendo pulizia è peggio di quello che si aspettava?
«Prima di tutto, non mi aspettavo nulla. Speravo di tornare a Buenos Aires ( ride). E poi credo che, non so, Dio in questo è buono con me, mi dà una sana dose di incoscienza. Sto facendo quello che devo fare».
Dell’essere Papa, che cosa le piace di più e che cosa le piace di meno?
«Prima di venire qui, stavo per ritirarmi. Una volta tornato a Buenos Aires, ero d’accordo col nunzio di preparare una terna perché alla fine di quell’anno [2013], si nominasse il nuovo arcivescovo. Pensavo ai confessionali delle chiese dove sarei andato a confessare. Avevo anche progettato di trascorrere due o tre giorni a Luján e il resto in Buenos Aires. Venuto qui, ho dovuto affrontare tutte queste cose nuove. Ma fin dal primo momento mi sono detto una cosa: “Jorge non cambiare, rimani te stesso perché cambiare alla tua età è ridicolo”. Per questo, ho continuato a fare le cose che facevo a Buenos Aires. Compresi gli sbagli magari, si può supporre. Ma preferisco essere quello che sono. Evidentemente, questo ha creato alcuni cambiamenti nei protocolli, non in quelli ufficiali perché li osservo bene. Ma il mio modo di essere è lo stesso che a Buenos Aires, e dunque quel “non cambiare” mi ha inquadrato bene la vita».
Al ritorno dalla Corea del Sud, a una domanda, ha risposto che si aspettava tra due o tre anni di “tornare alla casa del Padre”, e molti si sono preoccupati per il suo stato di salute, pensando che fosse malato o qualcosa di simile. Come sta?
«Ho i miei acciacchi e alla mia età gli acciacchi si sentono. Ma sono nelle mani di Dio, finora posso sopportare un ritmo di lavoro più o meno buono». Copyright La Nacion.
Traduzione di Louis Moriones