Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

Biografia di Gianfranco Baruchello

• Livorno 24 agosto 1924. Artista. Pittore. Scrittore, ha pubblicato diciotto libri.
• Il padre era avvocato, la madre insegnante elementare. Laureato in Giurisprudenza iniziò a lavorare alla Bombrini Parodi Delfino, prima di dedicarsi all’arte.
• «Lui: l’artista “sperimentatore” come è scritto in quasi ogni biografia che lo riguardi. Perché tante e tanto diverse cose ha fatto nella sua poliedrica vita, da rendere difficile un’altra definizione. Baruchello che nei primi Sessanta colleziona frammenti e li immortala con matite colorate su tele bianche; Baruchello che costruisce totem con pezzi di legno, ferro, materiali di recupero e viene arruolato da Pierre Restany nel Nouveau Réalisme (la risposta europea alla Pop Art); Baruchello che negli anni Settanta compone teatrini con collage di giornali e origami di saggi battezzandoli con titoli tipo I manifestanti sono invitati a moderare la terminologia antisindacale; Baruchello che inventa azioni e scenografie teatrali, che scrive volumi e li scompagina in libri d’artista, che è amico dei filosofi (e molto meno dei critici), che occupa terreni destinati alla speculazione edilizia per fondare una comunità “Agricola Cornelia” con intenti contadini ed etico/estetici. Baruchello, infine, che un giorno, insieme a quel cineasta di genio che fu Alberto Grifi, comincia a incollare alla moviola pezzi di pellicole di film per ricomporne uno diventato assoluto culto: Verifica incerta. Baruchello disobbediente al sistema dell’arte e troppo instabile per il mercato. Stimato ed evitato per anni. Finché qualcosa è successo. (…) Cinquant’anni di solitudine e ora la gloria. (…) “Ma che devo dire? Meglio tardi che mai? Del resto Duchamp ci ha messo cent’anni per essere metabolizzato. Non mi equiparo a Duchamp, sia chiaro, ma lo prendo a esempio di chi sceglie una ricerca da isolato. Di chi non è nella squadra e insegue un linguaggio che con quello delle altre squadre non c’entra niente. Ed è faticoso, mi creda, sostenere un linguaggio per cinquant’anni di seguito sentendosi soli”» (Alessandra Mammì) [Esp 5/12/2014].
• «Forse è sempre stata colpa mia, non ero un tipo simpatico. Troppo orso. Anarchico. Poco adattabile. (…) Nel 1972 andai a New York con un lavoro che facevo allora: oggetti fatti con ritagli di giornali incollati su tavola. Li chiamai Cimiteri di opinioni. Uno era nato per la morte di Pinelli. Un altro in omaggio a Feltrinelli. Ileana Sonnabend ne fu entusiasta. I collezionisti pure. Vendetti tutto e lei mi disse: “Baruchello, d’ora in poi dovrà fare solo questi lavori e in due anni le assicuro che diventerà il più grande incollatore di giornali di tutti i tempi!”. Ma io risposi: “Mi dispiace ma ho finito. Ora voglio fare un’altra cosa”. Così non sono diventato il più grande incollatore: e neanche ricco» [Mammì, cit.].
• Nel 1963 conobbe Marcel Duchamp: «Ho fatto di tutto per conoscerlo. Un collega mi dice che Duchamp è a Milano, prendo un aereo e lo raggiungo in un ristorante. Era il 1963 e Duchamp non era mica così famoso. Ma io, avendo letto la raccolta di suoi scritti Marchand du sel che mi aveva passato Sebastian Matta, ne ero rimasto profondamente colpito. Ero timido e mi feci forza. “Scusi se la disturbo, sono un pittore italiano e vorrei conoscerla”. Di fronte a me c’era un uomo generoso, disponibile, attento soprattutto a chi faceva il suo stesso mestiere e giocava a scacchi con lui. Ebbi subito l’impressione di aver trovato un parente stretto. Ho una sua foto mentre monta i miei quadri in una galleria e una sequenza di un film di Warhol in cui è seduto di fronte a un mio lavoro. Fu un amicizia fatta di tanti pensieri e tanti discorsi. Ma gli devo soprattutto di avermi trasmesso la determinazione nel sostenere un proprio linguaggio personale anche quando è difficile imporlo» [Mammì, cit.].