La Stampa, 5 dicembre 2014
«Il mio lavoro comincia con un nucleo di poche pagine». Ken Follett spiega come scrive i suoi romanzi (errori compresi) e parla delle sue passioni da Martin Luther King a Balzac. E poi dice la sua anche su Ferguson
Interno berlinese ai tempi della Ddr, esterno americano in piena lotta per l’affermazione dei diritti civili degli afroamericani, e ancora interni russi ed esterni siberiani durante l’epoca Krusciov. Nel suo ultimo libro, I giorni dell’eternità, pubblicato da Mondadori, Ken Follett conclude la trilogia The Century dedicata al Novecento, regalando ai suoi lettori pagine di storia, abilmente mescolata con quegli ingredienti che trasformano un saggio in un bestseller: amore, suspense, emozioni, sesso. Lo scrittore britannico, in questi giorni in Italia per la presentazione del libro, incontra un gruppo di giornalisti all’Hotel Hassler di Roma, e non tradisce – nei modi e negli sguardi – la consapevolezza dei suoi numeri: più di 150 milioni di copie vendute, due opere nella lista dei cento bestseller più venduti di tutti i tempi, un patrimonio stimato da Forbes in circa 10 milioni di euro.
Come nascono i personaggi di un suo romanzo?
«Facendo domande. Prendiamo la ragazza di Berlino Est con cui comincia il libro. Mi chiedo: chi possono essere i suoi genitori? Che pensieri potrebbero attraversarla? Da quelle prime risposte nasce il personaggio».
Ha bisogno di condizioni particolari per scrivere: riti, manie, ossessioni?
«Non ho una sedia speciale, una penna o una tastiera preferita. In questo resto un giornalista: scrivo dove sono, se c’è silenzio, se c’è rumore, a casa o in aeroporto. Però ho un metodo: pianificare bene. Ho un idea, la scrivo, ne nascono tre paragrafi, poi mi chiedo cosa è successo prima, cosa dopo, chi sono le persone che intervengono. In genere sono una settantina di pagine che costituiscono il canovaccio del mio libro, da cui poi costruisco tutto il resto».
Fare le ricerche con Google è diventato più facile, ma anche più rischioso. Le è capitato di fare degli errori, o di non essere soddisfatto del risultato?
«In genere un paio di errori a romanzo ci sono, ma in questo ancora non mi sono stati segnalati. Poi certo, non tutto quello che c’è in rete è perfetto, ma nei libri di storia è lo stesso. A un certo punto del libro, ad esempio, descrivo l’incontro tra Gorbaciov e l’allora primo ministro ungherese Nemeth: non avevo trovato molte fonti su quell’incontro, e scrissi che lui era “spaventato e sudato”. Quando sono stato alle celebrazioni del 25esimo della caduta del muro, a Berlino, ho incontrato Nemeth. Mi sono detto: “Ecco, ora mi dirà che mi sono inventato tutto”. E invece si avvicina e mi dice: “Ma come ha fatto a sapere che ero spaventato e sudato?”. Che dire, sono contento che sia andata così».
Qual è il personaggio storico che l’ha sedotta di più?
«Martin Luther King. So che non era un santo, non avrebbe dovuto avere quella predilezione per l’alcol e le donne, ma aveva la capacità di elevarsi dalle passioni e tirarne fuori un punto di vista morale. Come quando tutto il mondo si indignò per un attentato omicida in Alabama e lui disse : “Non perdiamo la fiducia nei nostri fratelli bianchi”».
Dal Mississippi a Ferguson: la storia non cambia?
«Cinquant’anni fa nessuno si sarebbe interessato a un nero ucciso da un poliziotto bianco in America, oggi è una notizia mondiale. La storia non cambia forse, ma la sua percezione sì, e questo è un progresso. Del resto io sono un ottimista, penso che il mondo sia oggi decisamente migliore di cento anni fa».
Come tiene a freno il pregiudizio storico?
«Cercando di mettermi nei panni di quelli che non la pensano come me. Il personaggio che ha le battute più brillanti in questo libro è un conservatore, e io non lo sono. Se si è di parte non viene mai un buon libro».
Cosa legge abitualmente?
«Classici, da Balzac a Dickens. Niente bestseller e niente Tolkien. Ora sto leggendo Patrick Modiano, che come tutti non avevo mai sentito. È divertente».
Nel prossimo libro andrà avanti o indietro nel tempo?
«Kingsbridge, XVI secolo, la storia del primo servizio segreto del mondo, voluto da Elisabetta I, una regina che in moltissimi volevano vedere morta».