La Stampa, 5 dicembre 2014
Orion, il nuovo tentativo di lancio della navicella americana che fa sognare Marte alla Nasa e l’E-Elt, il telescopio che segna l’inizio di una nuova era dell’astronomia
***La navicella «Orion» ritenterà oggi. Dopo il rinvio del lancio di ieri, il nuovo veicolo spaziale della Nasa, progettato per missioni di esplorazione spaziale oltre l’orbita terrestre, dovrà spiccare il balzo alle 13.05 ora italiana dalla rampa di lancio «37B» di Cape Canaveral.
Una piattaforma che ci si augura porti fortuna come negli Anni 60: da qui, infatti, vennero lanciati i primi razzi Saturno 1, con i simulacri dell’Apollo che avrebbe conquistato la Luna. E oggi, come allora, la Orion si appresta a un primo volo di collaudo (in questa missione senza equipaggio a bordo) per garantire, entro pochi anni, l’inizio di una serie di missioni interplanetarie. Ecco perché Orion non è il «dopo-shuttle». La navicella è stata progettata per missioni di «esplorazione» con astronauti: verso la Luna, ma soprattutto verso gli asteroidi e, in seguito, per Marte. Il ruolo di navetta per l’orbita terrestre, e quindi per la Stazione Spaziale Internazionale, è invece affidato ai privati e quindi alle nuove capsule selezionate dalla Nasa stessa, come la Dragon della Space X o la Cst-100 della Boeing.
Il lancio di ieri è stato rinviato più volte durante la «finestra» di tempo disponibile per spedire Orion sulla corretta traiettoria. Dapprima un’imbarcazione ha attraversato un tratto di mare chiuso per ragioni di sicurezza, poi la situazione meteo è diventata meno favorevole e infinie si sono verificati dei problemi per la posizione di una valvola in uno degli stadi del razzo vettore Delta IV Heavy della United Launch Alliance. Un razzo che, alla pari dell’Atlas V, è il più potente dell’attuale flotta americana, in attesa che entri in servizio, nel 2018: sarà il potente super-vettore Sls, paragonabile al Saturno 5 dei voli lunari Apollo e che sarà proprio il lanciatore delle Orion. Già dal prossimo volo.
Che la Orion sia destinata a missioni oltre la Terra è dimostrato già da questo primo test; raggiungerà la distanza di 6 mila km dalla Terra, compirà due orbite e poi, dopo 4 ore e mezza, punterà dritta nell’atmosfera terrestre a 32 mila km/h.
La capsula, infine, si tufferà nel Pacifico, appesa a tre paracadute, rievocando uno scenario che ci riporterà indietro di 40 anni, ai tempi delle Apollo.
Antonio Lo Campo
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Se dimenticaste la vostra copia de La «Stampa» su una panchina all’esterno della Stazione Spaziale, niente panico: appena tornati a terra, potrete leggere la stessa copia del vostro quotidiano. Userete lo E-Elt, il nuovo «telescopione» la cui costruzione è appena stata approvata dagli astronomi europei: vi permetterebbe di leggere i titoli, il testo e ammirare le fotocolor.
Si respirava l’aria della riunione storica ieri, nel Consiglio dello European Southern Observatory. Con il fiato della concorrenza sul collo (cioè gli americani, che vorrebbero toglierci il primato della astronomia, attualmente europeo), da un lato, e con le limitazioni sui fondi per la ricerca in tutta Europa dall’altro, c’è voluto il coraggio e la visione di tutti i 14 Stati membri, dalla Germania all’Italia e al Portogallo, per arrivare unanimi alla decisione.
Il telescopio avrà uno specchio di quasi 40 metri (!) di diametro, e sarà costruito nel deserto di Atacama, in Cile, dove l’Europa ha già tutte le sue più belle macchine per astronomia. È un posto ideale: notti perfettamente buie, aria pulitissima, 2500 metri di quota, e poche nubi: ci piove 20 volte meno che nel Sahara… Per di più, il cielo dell’emisfero Sud è ricco di oggetti interessanti, a cominciare dal centro della Galassia in cui viviamo.
Bravi in tutto, eccellenti in astronomia, gli europei sono però un disastro come originalità nei nomi dei progetti. Il telescopio più grande del mondo si chiama E-Elt, per (European Extremely Large Telescope), semplicemente perché viene dopo quello attualmente in funzione, il Vlt, Very Large Telescope… Si poteva fare meglio, ma pazienza.
Quello che conta è che si tratterà di una grandissima sfida tecnologica, prima ancora che scientifica. E l’Italia, con Inaf e il supporto industriale, sembra posizionata molto bene per giocare un ruolo da protagonista. C’è da fare, o meglio da inventare, di tutto. Da un edificio enorme, con cupola apribile e ruotante, in grado di resistere ai venti estremi delle Ande come ai terremoti, ad una struttura capace di sostenere un incrociatore ma di puntarlo con la precisione di un orologio svizzero, alla delicatissima ottica mobile (una specialità italiana) per correggere le turbolenze residue della atmosfera di montagna, a rivelatori di fotoni capaci di vedere una candela al di là della Luna (e dirti di che colore è).
Le nostre migliori industrie si stanno già posizionando, o meglio stanno sgomitando, all’interno di una competizione europea che non fa sconti, per i pezzi migliori. Si tratta di portare a casa contratti europei, ricchi di ritorno tecnologico, e che offrono occupazione nuova e molto pregiata. Sanno di poter contare sulla collaborazione dei ricercatori dell’Inaf, alcuni dei quali hanno già in tasca, o almeno in mente, soluzioni tecniche a problemi impossibili. È il loro mestiere. Così come è il mestiere di chi prende le decisioni politiche assicurare loro quel minimo di supporto necessario per vincere in Europa. La posta in gioco, oltre al prestigio, è un ritorno industriale ed economico da sogno.
Naturalmente, gli astronomi europei ed italiani stanno già sognando, o meglio studiando, cosa guardare con E-Elt, dopo la sua «prima luce» nel 2024 (speriamo). Una astronomia tutta nuova: dallo studio delle atmosfere dei pianeti vicini simili alla Terra, cioè posti dove andare se qui si mette male, a guardare in faccia il buco nero al centro della nostra Galassia, alla nascita delle prime stelle dell’Universo, quelle che nessuno ha mai visto, le nonne del Sole. A soli quattro secoli del suo cannocchialino da 4 cm chissà cosa direbbe quel toscanaccio di Galileo.
Giovanni Bignami