la Repubblica, 5 dicembre 2014
Il ministro Poletti risponde a Saviano a proposito della foto che lo ritrae accanto a Salvatore Buzzi: «Il solo fatto di vedere il mio nome associato a queste indecenze mi fa star male. Tante persone che mi conoscono possono confermare la correttezza del mio comportamento»
Caro direttore,
nell’articolo pubblicato ieri su questo quotidiano, Roberto Saviano mi invita a spiegare la mia presenza ad una cena organizzata nel 2010 dalla cooperativa 29 giugno. Rispondo subito – in un momento in cui provo rabbia, amarezza, delusione – perché sento il dovere di rassicurare i cittadini italiani. Il solo fatto di vedere il mio nome associato a queste indecenze mi fa star male. Tante persone che mi conoscono possono confermare la correttezza del mio comportamento. Alla foto pubblicata in questi giorni dai mezzi di informazione potrei affiancare una galleria di belle immagini che mi ritraggono in tante occasioni legate alla mia attività di presidente di Legacoop. Voglio ricordarne solo una: quella scattata nell’aprile 2008, quando ho riunito la presidenza nazionale a Corleone, nella masseria confiscata a Totò Riina e affidata in gestione ai ragazzi di una cooperativa di Libera. Una delle tante che Legacoop ha sostenuto e sostiene con aiuti concreti, in quanto simbolo della volontà di riscatto contro i soprusi e la violenza della criminalità mafiosa.
Come presidente di Legacoop ho partecipato sempre alle iniziative ed alle assemblee delle cooperative aderenti (più di 14.000) alle quali venivo invitato. Un giorno farò il conto di quante sono state; sicuramente molte centinaia. Era dunque assolutamente normale che partecipassi alla cena organizzata dalla cooperativa sociale 29 giugno, che aveva per obiettivo il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e delle persone più deboli. Un’esperienza che nel mondo cooperativo era considerata un esempio positivo di intervento per combattere le situazioni di fragilità e di disagio sociale presenti nel nostro Paese e, in particolare, in una metropoli come Roma. Un’esperienza la cui validità trovava conferma nella storia delle persone, tra le quali Salvatore Buzzi, che avevano promosso la costituzione della cooperativa: un esempio concreto della possibilità di riscattarsi dagli errori del passato attraverso il lavoro. Una possibilità di cambiare strada nella quale ritengo sia giusto continuare a credere. Quando si vive in questo mondo e si vede come lavorano le cooperative sociali, non si pensa che possano esistere comportamenti come quelli che oggi vengono alla luce. Questa è la risposta che mi sento di dare agli interrogativi sollevati da Saviano. Ed è per questo che leggendo le notizie relative all’inchiesta sono sconcertato ed amareggiato. Provo grande rabbia e mi sento tradito. Tradito perché sento che sono stati feriti i principi ed i valori in cui credo e per i quali, insieme a tante altre persone, mi sono impegnato per una vita. Comportamenti come quelli che vengono delineati dalle notizie di questi giorni sono inconcepibili ed inammissibili da parte di chi, scelto dai soci come presidente della loro cooperativa, ne tradisce la fiducia, distrugge la reputazione dell’impresa e lede gravemente la credibilità di tutte le cooperative sociali che svolgono un’attività preziosa a sostegno delle persone più deboli.
In questo momento ciò che mi angustia di più sono le conseguenze dirette che potranno pagare le centinaia di soci della cooperativa 29 giugno e quelle che potranno riverberarsi sulle altre cooperative sociali. Un mondo di persone che credono in quello che fanno e lavorano con passione. E che debbono continuare a farlo, a vantaggio della collettività.