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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

Dopo vent’anni Poggiolini va a processo per la storia del sangue infetto. L’accusa è di omicidio plurimo colposo. Il ritardo abnorme causato da rinvii ed errori dei pm. Oggi l’ex direttore del servizio farmaceutico della Sanità ha 85 anni

Ci sono, in Italia, una ventina di persone che ogni anno muoiono di Aids o Epatite C per aver fatto trasfusioni di sangue o infusioni di plasma negli Anni 80. Bambini di 4 anni ammalati di Hiv o sedicenni con il fegato devastato dall’epatite se ne sono andati nel silenzio più assoluto con l’unica colpa di essere nati emofiliaci e di aver avuto bisogno di trasfusioni e plasma venduto da aziende che «non avevano controllato», grazie ad autorizzazioni di chi «era venuto meno ai doveri di sorveglianza».
Ogni anno, da anni, come ricorda l’avvocato torinese Stefano Bertone, che difende le vittime: almeno 600 accertate sui 2.400 emofiliaci che tra l’86 e l’87 utilizzarono sacche di plasma infetto: di questi 900 hanno contratto l’Hiv, gli altri l’epatite. Una strage, come quella per l’Eternit o di Porto Marghera, che per arrivare ad essere riconosciuta e affrontata in un processo che inizierà il 5 gennaio prossimo a Napoli e prenderà in esame soltanto i casi di 8 vittime (gli altri sono stati mano a mano prescritti), ha dovuto attendere, tra rinvii, dichiarazioni d’incompetenza territoriale, e clamorosi errori dei pm – di notifica, di mancato avviso alle parti, di inerzia – 20 anni. Assurgendo al clamore delle cronache grazie al nome dell’ex direttore generale del servizio farmaceutico della Sanità tra gli Anni 80 e 90, Duilio Poggiolini, ormai 85enne accusato, con l’imprenditore toscano Guelfo Marcucci e ad alcuni suoi manager (in un processo distinto ma destinato ad essere riunito), di omicidio plurimo colposo aggravato dalla previsione degli eventi e abuso di potere.
Vent’anni sono una generazione che nulla sa e ricorda di quando nella casa di Poggiolini a Napoli, nascosti tra divani, pouf e materassi, la Gdf trovò lingotti d’oro, gioielli e quadri preziosi (e un conto svizzero di 15 miliardi di lire) accumulati grazie alla corruzione sistematica del suo ufficio. Uno scandalo clamoroso, visto che l’uomo che doveva vigilare sulla salute degli italiani e dunque sui farmaci distribuiti ai malati, in cambio di prebende e mazzette era disposto a firmare qualunque richiesta. Come la circolare del 1986 con cui autorizzò l’uso di sacche di plasma infetto, provvedimento che consentì di smaltire le riserve di sangue acquistate per anni all’estero da società Italiane attraverso broker o aziende importanti come la Baxter o la Bayer Usa che a loro volta lo compravano nelle carceri degli Stati Uniti o ai confine col Messico, o nelle comunità gay di San Francisco, falcidiate da epatite e Aids.
Prodotti che non vennero resi inattivi dal calore, come prescritto dalla legge, perché il procedimento di bollitura del plasma, che avrebbe ucciso i virus, avrebbe comportato costi e scarti rilevanti. Come al solito, una questione di denaro, di costi e ricavi, di capitale umano a perdere. Perché ogni emofiliaco costa attualmente allo Stato più di 100 mila euro all’anno e i prodotti per curarlo valgono oro. Motivo per cui, all’epoca, vennero trovate 35 tonnellate di plasma infetto congelato in due celle frigorifere di Padova, stoccate alla rinfusa insieme a generi alimentari surgelati e a materiale biologico non meglio identificato. Stoccaggio eseguito dalla società Sclavo dei Marcucci con acquirente la “Padmore”, una scatola vuota creata nientemeno che da David Mills, l’avvocato d’affari di Silvio Berlusconi, condannato per corruzione giudiziaria.
In questo processo non verrà trattata «l’irrefrenabile sete di ricchezza» di Duilio Poggiolini, che dopo a una condanna a 7 anni ridotta a 4 in appello, azzerata infine con l’indulto del 2006, si era ormai avviato a trascorrere una serena vecchiaia. È un aspetto, questo della corruzione, che nelle inchieste sul sangue infetto non è mai stato affrontato. Ma di sicuro il conto in Svizzera di Poggiolini furono in tanti a pagarglielo.