La Stampa, 5 dicembre 2014
Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone che difende le occupazioni nelle scuole: «Servono a crescere. È vero, solo illegali, ma la scuole non è solo didattica»
Erano i tempi di Galloni ministro della Pubblica Istruzione. Sul finire degli anni Ottanta. «E adesso mi ritrovo dall’altro lato della barricata», scherza Davide Faraone. Oggi sottosegretario di quello stesso ministero, ma all’epoca studente di un Istituto tecnico al confine con il quartiere Zen di Palermo. «Già allora, tra i temi di discussione al centro della nostra occupazione, c’era quello della riforma della scuola esattamente come oggi», ricorda. Il suo intervento, ospitato lunedì sulle pagine de «La Stampa», ha aperto un dibattito acceso e sollevato critiche e polemiche proprio sul tema delle occupazioni.
Si aspettava tanto clamore?
«Mi aspettavo che raggiungesse l’obiettivo per il quale ho deciso di scriverlo: aprire un dibattito sul tema della scuola che il governo ha messo al centro della sua azione»
L’ha sorpresa di più il successo riscosso tra una parte degli studenti o le critiche sollevate da diversi professori?
«Tanto tra gli studenti quanto tra i professori sono emerse posizioni diverse: non tutti gli studenti né tutti i docenti la pensano allo stesso modo. È la dimostrazione che sono riuscito a far comprendere che, al di là dell’occupazione – che è illegale e su questo punto voglio essere chiaro – la scuola deve tornare il luogo in cui si costruisce la coscienza civica dei ragazzi e la classe dirigente del futuro».
Qualche professore è arrivato a chiedere le sue dimissioni…
«Chi fa politica sa benissimo di dover convivere, quasi quotidianamente, con gli applausi e con le critiche».
Gli studenti che condividono la sua lettera sono gli stessi che protestano contro la Buona Scuola del suo governo. Un po’ paradossale non trova?
«È la stessa osservazione che mi ha rivolto un dirigente scolastico. E le rispondo allo stesso modo: benissimo. Noi vogliamo confrontarci nel merito con tutti, con chi è favore ma soprattutto con chi non condivide la nostra riforma. È proprio con chi solleva obiezioni che vogliamo discutere, difendendo le nostre idee ma restando disponibili a cambiarle se dovessero arrivare proposte costruttive».
Resta il fatto che in alcuni casi si è innescato un vero e proprio muro contro muro tra studenti e professori ma anche tra studenti e studenti…
«Non è stato dappertutto così. Per esempio al Virgilio di Roma siamo riusciti ad aprire una discussione mettendo insieme pro e contro all’occupazione. In altri istituti, come al Tasso, si sono invece create divisioni e tensioni tra favorevoli e contrari. Ma non demordo e insisterò per mettere tutti intorno allo stesso tavolo».
E delle sue occupazioni cosa ci racconta?
«Furono esperienze e occasioni di condivisione. Anche per chi non aveva mai avuto altre possibilità al di fuori della vita familiare. Iniziative culturali e sociali, momenti di aggregazione e di partecipazione democratica che, con quelle di oggi, hanno in comune il tema centrale intorno al quale ruotavano: la riforma della scuola di cui anche allora si discuteva».
Decisive per la sua futura carriera politica?
«Certamente decisive per accendere quella passione civile che oggi rischia di spegnersi in una scuola che non può essere solo tempo trascorso sui banchi in attesa che la campanella suoni. In questo senso ho parlato di legalizzazione e di autogestione programmata, come un momento di crescita da affiancare alla didattica».