La Stampa, 5 dicembre 2014
Il sottobosco della politica romana finito nell’inchiesta sulla Mafia Capitale per sfortuna per lo più. Dal tabaccaio al caldarrostaio, dal boy scout al figlio del fascista
Fondamentalmente sono uomini sfortunati. Prendete Tommaso Giuntella, trent’anni, ex boy scout. Faceva parte del terzetto di coordinatori del comitato di Pierluigi Bersani al tempo delle primarie vinte contro Matteo Renzi. Gli altri due erano Alessandra Moretti e Roberto Speranza, che sono diventati renziani e hanno fatto un carrierone: lei europarlamentare e candidata a governare il Veneto, lui capogruppo alla Camera; a Giuntella, poi sconfitto alle primarie per la guida della federazione romana da Lionello Cosentino, era rimasto più nulla, e ora gli capitano pure le intercettazioni in cui la ghenga di Massimo Carminati si vanta di manovrarlo. Uomini sfortunati come Luca Gramazio, 34 anni, ex capogruppo di Forza Italia in Regione, ma soprattutto figlio di Domenico, un tempo missino, in seguito senatore di An noto come il Pinguino, impietoso soprannome per le braccia leggermente corte, e fornitore ufficiale della mortadella che il collega Nino Strano si pappò in aula, a Palazzo Madama, il giorno della caduta di Romano Prodi. Sfortunato, Luca, perché papà lo portò a un pranzo proprio con Carminati al ristorante «Dar Bruttone», zona San Giovanni. Capite? Se il ristorante si fosse chiamato «da Mimmo» ci sarebbe almeno poco terreno per l’ironia.
E invece va così. Il mondo della Cupola o – com’è stato detto – del nuovo Cupolone: è attraversato da personaggi dalle notevoli biografie. Una delle migliori appartiene a Mirko Coratti, quarantunenne di Monte Sacro, presidente del Pd dell’Assemblea capitolina. La cosa è un po’ scomparsa dai profili ufficiali, ma Coratti fu un gran berlusconiano: una decina d’anni fa, sempre dal consiglio comunale, chiese la testa di Antonio Tajani e minacciò di incatenarsi al cancello di Palazzo Grazioli. Non ce ne fu bisogno, Berlusconi lo ricevette e gli disse: «Mirko, i giovani sono il futuro». Niente da fare, Mirko lasciò Forza Italia per passare all’Udeur e da lì alla sinistra, dove ha portato in dote i voti dei tabaccai: lui ne è il leader di riferimento, e infatti si trovano sue ficcanti proposte sulla sicurezza dei tabaccai, gli orari dei tabaccai, i convegni dei tabaccai e così via. Allo stesso modo Giordano Tredicine, trentaduenne consigliere di Forza Italia, è la quinta colonna dei caldarrostai, e in più in genere di ambulanti e camion bar; Tredicine (che compare nelle intercettazioni ma non è indagato) è l’ultimo erede di una dinastia cominciata col nonno Donato, che arrivò a Roma dall’Abruzzo per vendere caldarroste. «Dacce du’ castagne, Tredicine, dacce du’ castagne» è il coro di scherno che talvolta si alza nell’aula Giulio Cesare durante le sedute del consiglio.
Insomma, il mondo è un po’ questo. È il mondo già molto raccontato di Luca Odevaine, prossimo ai sessanta, ex vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni; una volta si chiamava Odovaine, ma cambiò il nome per nascondere una condanna indultata per droga. Non se n’è accorto nessuno, tranne il Dipartimento di Stato di Washington – ufficio un po’ meno dispersivo dei nostri – che ancora pochi mesi fa ha negato a Odevaine il visto di ingresso. Di lui vanno ricordati gli anni giovanili in Legambiente, quando guidava assalti alla sede Renault di Roma per protestare contro i test atomici a Mururoa, o si girava l’Italia sulla Goletta Verde, e già terrorizzava i sindaci.