la Repubblica, 5 dicembre 2014
Vent’anni esatti da quel gol straordinario di Alessandro Del Piero alla Fiorentina: al volo, col piede destro che curva in quel modo incredibile. Mentre oggi l’immagine molto triste è lui in panchina in India: «Chiedete all’allenatore»
Due istantanee, e nel mezzo vent’anni esatti. La grande bellezza e una profonda tristezza. Prima immagine: Del Piero segna contro la Fiorentina il suo gol forse più luminoso, al volo, col piede destro che curva in quel modo incredibile (era il 4 dicembre 1994). Seconda immagine: Del Piero in panchina in India, terza volta di fila che succede. «Chiedete all’allenatore», dice. La frase qualunque di uno qualsiasi. Ma lui è, lui era Alessandro Del Piero. In attesa che qualcuno domandi al sole se si accorge di tramontare (forse no, in fondo mica si spegne mentre succede), si prende atto di quanto sia difficile per un campione l’ora dell’addio, sempre: perché è un addio non allo sport ma a se stessi, alla propria vita più vera, così splendida e in fondo breve. Alcuni riconoscono il momento perfetto e giocano d’anticipo, dicendo basta: Boniperti, Platini, Rocky Marciano che si ritirò imbattuto. Altri proprio non riescono (Romario, Thorpe, Schumacher) e tornano, ci riprovano, sfidano non gli avversari vecchi e nuovi ma il ricordo di sé: la partita impossibile. In totale buonafede mentale e atletica, forse il quarantenne Del Piero è di quelli che non sanno smettere. Dopo la Juve, nella quale sarebbe rimasto volentieri, ha deciso di proseguire oltre l’Australia, che pure era già periferia del calcio, per arrivare dentro il nulla indiano, a New Dehli, in una squadra che si chiama Dynamos: 14 punti dopo 12 partite, sesto posto in classifica (su otto), a otto lunghezze da uno squadrone chiamato Chemmaiyin F.C. Di queste 12 gare, Del Piero ne ha giocate appena cinque, con zero gol e zero assist. Il suo allenatore, che non si chiama Capello ma Harm Van Veldhoven, un olandese naturalizzato belga, dice: «I giocatori sono tutti uguali, gli altri attaccanti lavorano molto, non era il momento di inserire Del Piero». E il vice allenatore, tal Mark Luijpers, rincara la dose: «Qui partono tutti alla pari e vanno in panchina nello stesso modo». Dopo diciannove anni bianconeri e un elenco di record impossibile da mandare a memo- Del Piero è passato al blu di Sydney e all’arancione di Dehli: quasi senza tracce, non solo cromatiche. In questi casi si dice esperienza di vita, però il dubbio che ne valesse la pena è legittimo. Non è escluso che questo dubbio sfiori lo stesso fuoriclasse, sempre impeccabile nell’accettare le scelte degli allenatori, però immalinconito in panchina durante lo 0-0 contro l’Atletico Kalkata (!): a un certo punto Alessandro si è alzato, pareva dovesse entrare, invece è rimasto a bordo campo ad assistere ai cambi degli altri. E alla fine ha pure detto: «Un buon pareggio, utile alla classifica». Non essendo un cacciatore d’ingaggi, e sentendosi ancora un giocatore vero, l’ex capitano juventino ha il diritto di continuare finché vorrà: già si parla di Stati Uniti dopo l’India, comunque un’avventura con la data di scadenza ravvicinata. Il fatto è che ogni volta che entra in campo, o che vorrebbe entrarci, un colosso dello sport si porta addosso anche il suo passato, inevitabilmente. E con questo passato è costretto a confrontarsi. Si gioca per se stessi, ma di più per quelli che guardano e ricordano: un campione a fine carriera non è quello che è, ma soprattutto quello che è stato. E il passato, prossimo o remoto che sia, si deve trattare con estrema delicatezza, col massimo rispetto. E allora, qualcuno trovi il coraggio di andare dal ragazzino pieno di capelli che segnò quel meraviglioso gol alla Fiorentina, lo guardi fisso negli occhi, gli sorrida e gli dica: Ale, è stato bellissimo ma adesso basta.