la Repubblica, 5 dicembre 2014
Incontro con Pierre Assouline, il biografo di Georges Simenon. «Smise di scrivere in cinque minuti. Non voleva fare un libro di troppo. Molti non hanno questa saggezza»
«Se mai c’è stato un uomo che ha vissuto una vita decisamente fuori dall’ordinario, da non poter essere ridotta a un mero elenco di date, nomi, avvenimenti, quello è Simenon». Pierre Assouline è “il” biografo di Georges Simenon, il primo ad aver scoperchiato gli archivi privati del romanziere.
Riassumere l’esistenza di Simenon in qualche centinaio di pagine poteva apparire una missione impossibile. «Ha vissuto all’insegna dell’eccesso, pensandosi come il personaggio principale della sua vita» spiega Assouline, critico letterario e apprezzato scrittore in particolare di biografie, membro della giuria Goncourt e autore di un blog, La Républiques des Livres, tra i più seguiti del paese. Pubblicata la prima volta nel 1992, Georges Simenon, una biografia, appena tradotta in una nuova edizione da Odoya, continua a essere l’opera di riferimento per chi vuole penetrare il mistero di questo romanziere che avuto e dilapidato molto: donne, soldi, libri.
«Non voglio rileggere niente. Lei è libero di scrivere ciò che vuole, e io di criticare». Così ha risposto nel 1989 Simenon ad Assouline, autorizzandolo a studiare i suoi archivi. È stato l’epilogo di un lungo inseguimento. «Ho incominciato a scrivergli all’inizio degli anni Ottanta per chiedergli un’intervista, ma all’epoca non incontrava già più i giornalisti». Nel frattempo Assouline lavora a una biografia di Gaston Gallimard e invia un’altra lettera allo scrittore che ha avuto una tormentata relazione con l’editore. «Mi ha risposto gentilmente, raccontandomi aneddoti che non conoscevo». La relazione epistolare va avanti finché Assouline riesce finalmente a ottenere un appuntamento. Si vedono a Losanna, non lontano dalla casa di Epalinges. Simenon accetta di aprire i suoi cassetti segreti. Pochi mesi dopo muore.
Assouline ha messo le mani su un tesoro di documenti, ma è anche tornato in quasi tutti i luoghi in cui Simenon ha vissuto per raccogliere testimonianze, verificare fatti. Dal Belgio alla Francia, dagli Stati Uniti alla Svizzera ci sono stati oltre ventidue traslochi tra il 1903 e il 1989. «Era un nomade sedentario. Poteva fermarsi anche a lungo». Poi all’improvviso ripartiva. «Obbediva sempre alle pulsioni» spiega Assouline. «Era il contrario dell’intellettuale. Aveva un approccio animale con la vita». Si definiva romanziere, non scrittore. Veniva accusato di misoginia perché si vantava di aver avuto diecimila donne, di cui ottomila prostitute, anzi “professioniste”, secondo la definizione che preferiva. «Ma non erano trofei, solo un’igiene di vita. La sua regola era: sesso tre volte al giorno, tutti i giorni, per evitare di ammalarsi». Era attaccato al denaro, sapeva come trattare per diritti, contratti, mandava ai matti i suoi editori. «Un atteggiamento mal visto nei salotti parigini».
A complicare il compito di Assouline c’erano anche i molti scritti autobiografici, dalle Dictées alle Memorie Intime. «Fin dal principio della sua carriera, è stato la principale fonte d’informazione su se stesso». Simenon ha costruito e forgiato la propria leggenda, anche attraverso piccole menzogne. Una “ego-storia” alla quale il protagonista-autore ha finito per credere, confondendo realtà e finzione autobiografica. L’uomo che non era Maigret, non era forse neanche Simenon, ovvero lo scrittore mondano e fanfarone, l’amante di Joséphine Baker, come lui stesso si è presentato negli anni Trenta, organizzando la promozione dei suoi libri con trovate come il “ballo antropometrico”. «Era soprattutto un padre di famiglia preoccupato di educare e giocare con i suoi quattro figli». Aveva pochi amici: Jean Renoir, André Gide e Federico Fellini con il quale riusciva a confidarsi.
Separare l’uomo Georges dallo scrittore Simenon, spiega il critico francese, sarebbe assurdo almeno quanto separare il contenuto dalla forma. «L’intero vissuto riaffiora nei suoi lavori per quanto trasfigurato e trasposto, così come accade nella Recherche per Proust». Il romanziere mentiva su stesso per omissione, con amnesie selettive. Assouline ha scoperto che Simenon aveva inserito il personaggio di Maigret, sotto pseudonimo, in alcuni romanzi popolari. Il nome Maigret, spiega ancora il biografo, viene da un medico che lavorava nel palazzo di place des Vosges dove Simenon abitava. I due uomini portavano a spasso i cani insieme nei giardinetti. Assouline ha anche trovato piccole, innocenti bugie. Come quando il romanziere racconta di aver scritto Pedigree perché un medico gli aveva dato ancora pochi mesi di vita. «La presunta malattia è stato un alibi per lanciarsi in questo libro che rompe con i precedenti». Quando nel dopoguerra, Simenon parte per l’America sostiene che vuole far imparare l’inglese ai figli. «Senza ammettere che era preoccupato dall’epurazione in corso in Francia. Ci sono diversi documenti che lo dimostrano».
Nella prima parte della biografia Assouline cita gli articoli antisemiti che Simenon ha scritto a 16 anni per la Gazette de Liège. «Erano stati ordinati dal suo caporedattore. Fu un errore di gioventù». Nel resto dell’opera non esistono tracce di antisemitismo, precisa il biografo, anzi gli ebrei vengono ritratti sempre come vittime. L’unica autocensura di Simenon è stata sul suicidio di Marie-Jo. «Non ha mai davvero cercato di capire quali fossero le sue responsabilità» dice Assouline ricordando che anzi Simenon aveva incoraggiato un equivoco amore, offrendo a sua figlia una fede nuziale. La biografia ipotizza che la fragile Marie-Jo possa essere stata anche vittima dell’opera del padre e in particolare del romanzo La disparition d’Odile, che parla del suicidio di una ragazza, figlia di uno scrittore di successo. Le analogie sono inquietanti: «Marie-Jo – nota Assouline – ha comprato l’arma con cui si è uccisa nello stesso posto in cui lo fa la protagonista del libro». La biografia è divisa in quattro parti, una per ogni compagna: dalla prima moglie Tigy, fedele assistente e segretaria, al rapporto passionale e psicopatico con Denyse, fino a quello con Teresa, tenera badante. Ma Assouline è convinto che il motore della creazione abnorme di Simenon venga dalla prima donna della sua vita: la madre Henriette. Lo scrittore ha vissuto l’infanzia nella rivalità affettiva con il fratello minore Christian, chiaramente preferito dalla mamma. Henriette apre e chiude l’attività del romanziere. «Simenon scrive il primo libro quando lascia sua madre e Liegi. E firma il suo ultimo libro quando Henriette muore». È il duro Lettera a mia madre pubblicato nel 1974. Il prolifico Simenon posa la penna, il rito con cui ha prodotto oltre duecento libri s’interrompe. «Ha smesso in cinque minuti» ricorda Assouline. Non voleva fare un libro di troppo. «È una forma di saggezza che molti altri scrittori non hanno avuto».