la Repubblica, 5 dicembre 2014
Dall’Europa un milione di firme contro il libero scambio. Dagli Ogm ai farmaci, queste le paure dietro al successo dei comitati per lo stop al Trattato atlantico Ttip. Nessun valore legale, ma la Ue dovrà tenerne conto
In due mesi hanno raccolto più di un milione di firme di cittadini europei contrari al trattato di libero scambio con gli Usa e il Canada, il cosiddetto Ttip. Ma la Commissione non riconosce la legittimità dell’iniziativa, e così ora I responsabili di “Stop Ttip”, che unisce 320 organizzazioni di 24 Paesi, hanno presentato un ricorso alla Corte di Giustizia europea per bloccare il negoziato o per ricominciarlo su basi completamente diverse. Da un punto di vista legale, non hanno molte probabilità di riuscirci, perché le leggi di iniziativa europea non si applicano ai trattati o ai negoziati internazionali. Ma un numero così elevato di firme raccolte in così poco tempo pone comunque un problema politico enorme, di fronte al quale né la Commissione né il Parlamento europeo possono restare indifferenti.
Il Ttip, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, è il Trattato che dovrebbe far compiere alla globalizzazione uno storico e decisivo passo in avanti unendo Europa, Canada e Stati Uniti in un unico mercato di quasi un miliardo di consumatori. Ma, grazie anche ad una cattiva presentazione da parte della precedente Commissione Barroso, è divenuto rapidamente il capro espiatorio su cui si sono concentrate ogni sorta di critiche e di accuse. Tanto che, in occasione della sua ultima visita a Bruxelles pochi giorni fa, il segretario di stato americano John Kerry ha spiegato che il Trattato è «vittima di un malinteso che dobbiamo risolvere e risolveremo nei prossimi mesi. Questo è un accordo che punta ad elevare gli standard al massimo livello, non ad abbassarli al minimo».
Nelle ambizioni dei negoziatori, il Ttip dovrebbe essere qualcosa di molto più ampio di un accordo commerciale. Esso prevede tre campi di intesa tra europei e americani: la liberalizzazione dell’accesso ai mercati, con l’abolizione delle tariffe doganali; la convergenza dei regolamenti, in base al principio che un prodotto autorizzato in Europa può essere venduto negli Usa e viceversa, senza ulteriori trafile burocratiche; la definizione di nuove regole commerciali per abolire le barriere non doganali e garantire, per esempio, la tutela dei marchi di origine anche al di là dell’Atlantico.
Secondo la Commissione, che ha appena ricevuto dai governi il mandato per aprire un nuovo round di negoziati e concluderli possibilmente entro il 2015, prima delle elezioni presidenziali americane, i benefici di un accordo sarebbero enormi: 119 miliardi all’anno per l’Unione europea e 95 miliardi per gli Stati Uniti. Le esportazioni dall’Ue verso gli Stati Uniti crescerebbero del 28 per cento, con un aumento di 187 miliardi di euro. In totale le esportazioni europee aumenterebbero del 6 per cento e quelle americane dell’8 per cento.
Ma è evidente che un accordo di questo genere, basato sul principio del riconoscimento reciproco delle autorizzazioni commerciali, comporta una rivoluzione nel mondo dei consumi. I nemici del Trattato sostengono che gli europei saranno invasi da carne agli ormoni, o trattata con antibiotici, di polli sterilizzati con la varechina, di grano e verdure prodotti da colture geneticamente modificate. E che in generale l’Europa subirà la concorrenza sleale dell’industria agroalimentare americana che si avvantaggia di una legislazione meno severa di quella europea. I difensori dell’accordo sostengono che gli europei saranno liberi di scegliere grazie ad un dettagliato sistema di etichettatura, e ribattono dicendo che la produzione europea, di qualità mediamente superiore, sarà finalmente tutelata su un mercato americano che si sta ormai orientando verso prodotti più sani e più raffinati.
Naturalmente l’ago della bilancia penderà da una parte o dall’altra in base alle conclusioni concrete a cui arriveranno i negoziatori. Alcuni settori, per esempio, come l’audiovisivo, sono già stati esclusi dal tavolo delle trattative proprio per tutelare le normative poste a salvaguardia della specificità culturale europea. In altri campi, fa molto discutere la cosiddetta clausola Isds, che consentirebbe alle multinazionali americane di ricorrere ad arbitrati internazionali per aggirare specifiche normative europee. Ma quello che conta, sottolinenano i difensori del Trattato, è che solo mettendosi insieme America ed Europa potranno fare fronte alla concorrenza delle nuove economie emergenti, imponendo a Cina, India o Brasile di adeguarsi ai loro standard qualitativi.