la Repubblica, 5 dicembre 2014
La scienza studia per darci l’immortalità. Esperti di robotica e biologi molecolari alleati per trasferire la coscienza umana nei cyborg. E poi nanotecnologie, studi sulla clonazione e nuove tecniche per ibernare i corpi
Dmitry Itskov ha trentatré anni e vuole vivere per sempre. Vuole vivere in un corpo che non invecchi e che attraversi il tempo senza cambiare mai. Ma soprattutto vuole mantenere la propria mente giovane, senza assistere al degrado dell’età. Per questo ha investito una fortuna per reclutare scienziati esperti in robotica e in biologia molecolare, in interfacce uomo-macchina e in organi artificiali. Il suo sogno «non è né fantascienza né utopia», insiste: è quello di trapiantare una coscienza umana su un supporto non biologico. Cioè, spiega, di creare un avatar.
Il programma di Itskov si chiama “2045 Initiative”. Sul suo sito internet campeggia un “bottone dell’immortalità”: l’unico ostacolo alla vita eterna è in un click per autocertificare la disponibilità di tre milioni di euro cash. Ma il manifesto dell’iniziativa si può leggere gratis: «Siamo convinti che sia possibile e necessario eliminare l’invecchiamento e persino la morte e superare i limiti fondamentali delle capacità fisiche e mentali attualmente fissati dalle restrizioni del corpo fisico». Obiettivo raggiungibile entro il 2045, si sostiene, in quattro tappe, l’ultima delle quali sarà un avatar in forma di ologramma.
Dmitry Itskov è un miliardario russo. Le cronache che lo raccontano rimbombano di parole come umanoide, realtà virtuale, cyborg e insistono sulla sua visione metafisica di una coscienza separata dai bisogni materiali del corpo. C’è chi però lo prende sul serio, per esempio sul versante dell’interazione uomo-macchina e del superamento del confine tra reale e virtuale, e sulla possibilità di affrontare così disabilità e malattie. C’è poi chi lo appoggia sul lato spirituale: Itskov ha incontrato il Dalai Lama e oggi utilizza la parola “avatar” nel suo significato induista, cioè come incarnazione terrestre (nella fattispecie di Visnù). E c’è chi, più concretamente, lo sostiene con i soldi, come Martine Rothblatt, la manager più pagata d’America, imprenditrice in ambito spaziale e medico-farmaceutico, transumanista e transessuale. È Rothblatt a far notare che negli anni sessanta i primi chirurghi trapiantologi furono accolti come illusi utopisti: «Si diceva che fosse un’idea folle, ma adesso ogni giorno 400 persone ricevono un nuovo organo». Quindi l’immortalità immateriale, l’immortalità della sola coscienza, perché no?
Immaterialità a parte, Itskov e Rothblatt non sono gli unici a investire nella speranza di una vita eterna. Filantropi della longevità hanno investito in questi anni nelle tecniche di clonazione, nell’ibernazione, nelle nanotecnologie o più tradizionalmente in alimentazione e benessere, la ricetta tradizionale di una lunga vita sana per le persone fortunate. Come David Murdock, che ha, per se stesso, la modesta ambizione di arrivare a 125 anni.
Dopo aver perso in giovane età la madre, un figlio e una moglie, dopo aver fatto fortuna con la Dole (quella delle banane), aver comprato e rivenduto isole hawaiane, Murdock si è convertito al vegetarianesimo. E ha finanziato un enorme centro di ricerca biomedica in North Carolina per dimostrare che la ricetta per l’immortalità è la buona alimentazione, definita secondo i suoi personali canoni: «Non berrei un bicchiere di latte, nemmeno se mi pagassero un milione di dollari. Forse perché non ho bisogno di soldi». Al momento, non si segnala nessuna novità di rilievo.
L’uomo d’affari John Sperling, che il Washington Post ha descritto come un eccentrico self-made man, puntava invece sulla clonazione. La sua “Genetic Savings and Clone” era nata per clonare l’adorato cane Missy, ma fallì nell’impresa nonostante i venti milioni di dollari di investimento. Riuscì invece, all’ottantaseiesimo tentativo, a clonare un gatto, ottenendo il micio Copycat, che però fu una delusione perché non assomigliava per niente a quello originale. Come a ribadire che i geni non sono tutto, e noi non siamo solo il prodotto dei nostri geni: quindi quand’anche riuscissimo a clonarci non saremmo esattamente noi, come due gemelli sono due persone diverse. Sperling ha poi fondato il Kronos Longevity Research Institute, che tuttora fa ricerca sull’antiaging a base di cellule staminali e di clonazione. Peccato che il magnate non ne vedrà i risultati, essendo deceduto questa estate.
Ma la più fantascientifica tra le frontiere dell’eternità è la criopreservazione, una tecnica di ibernazione negli istanti successivi all’arresto del cuore che dovrebbe garantire la conservazione del corpo nell’attesa che la scienza risolva l’annoso problema della morte. Il miliardario canadese Robert Miller ha donato un bel po’ di soldi alla Alcor, la più importante organizzazione che studia (e pratica) la crioconservazione. E anche Don Laughlin, che si è fatto ricco coi casinò di Las Vegas, ha aderito al programma. Così entrambi dopo il decesso finiranno in enormi freezer in attesa del giorno del risveglio.
Nel panel tecnico della Alcor, come tra i sodali di Itskov, si trova Aubrey de Grey, biochimico inglese dalla lunga barba, che sostiene che sia possibile curare l’invecchiamento come una malattia. «La prima persona che vivrà più di mille anni è già nata», sostiene. Ma il suo approccio, che elenca i danni genetici, molecolari, cellulari, extracellulari e proponga terapie per ripararli uno a uno, all’infinito, viene considerato bislacco e troppo distante dalla realtà scientifica attuale.
Al momento, cioè, l’eternità sembra più un vezzo da ricchi sognatori che da scienziati in camice e microscopio. Sostituire i pezzi malati, lavorare sulla genetica, estrapolare la coscienza da un corpo in senescenza: tutto questo sembra ancora molto lontano. Mentre è sicuramente degna di interesse la cosiddetta parabiosi, cioè il “collegamento” tra due individui, in particolare a livello dei vasi sanguigni, per una specie di “trapianto di vita”.
Suona come una cosa un po’ alla Dracula, con il vecchio che succhia sangue giovane, però ha mostrato in diverse circostanze di poter funzionare. Per adesso lo si è tentato solo sui topi ma a breve partirà la sperimentazione sugli uomini, focalizzata soprattutto sulla malattia di Alzheimer: sangue di under 30 sani per ringiovanire cervelli vecchi e malati. Ma attenzione: si parla in realtà di curare una malattia da invecchiamento. Le prove tecniche di immortalità sono di nuovo rimandate.