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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

I politici eletti in Italia sono 144.591, un sistema complessivo che costa 7 miliardi. Un esercito che, almeno per una parte, sta perdendo il ruolo di rappresentanza politica e si muove solo sulla base di convenienze personali o contingenti, che siano appalti o municipalizzate, ma anche riforma del lavoro o legge elettorale

Sono 144.591 i politici eletti in Italia, un sistema complessivo che costa 7 miliardi. Un esercito che, almeno per una parte, sta perdendo il ruolo di rappresentanza politica e si muove solo sulla base di convenienze personali o contingenti, che siano appalti o municipalizzate, ma anche riforma del lavoro o legge elettorale. Un’opacità pervasiva che non è solo nell’illegalità ma nei programmi e negli interessi.
Gli affari della mafia capitale portano i partiti di nuovo nel mirino, li rendono identici – destra o sinistra – e tutti ugualmente corrotti ma non è solo la criminalità a condannarli. Perché l’opacità nei partiti è un po’ dappertutto anche quando non è illegale. È nei programmi, nei profili identitari, nella definizione di se stessi, negli interessi che rappresentano. I casi della riforma del lavoro, della legge elettorale o delle municipalizzate sono emblematici di come le forze politiche abbiano perso la chiarezza e orientino le decisioni politiche sulle convenienze. Per esempio, non si capisce perché Matteo Renzi che in un pomeriggio decide il commissariamento del Pd romano non abbia trovato la stessa prontezza nel tagliare quelle quasi 8mila partecipate calcolate da Carlo Cottarelli. L’altro giorno al question time ha promesso che lo farà ma quando? E perché non l’ha già fatto. Quasi 2.800 di queste società ha più amministratori che dipendenti, un serbatoio di stipendi e clientele dove certamente si annida anche l’illegalità. Società che – in molti casi – sono piccole o medie macchine per creare consenso o per inquinarlo. E Renzi ancora aspetta mentre Scelta civica lo incalza.
Ci si muove sul day by day per conquistare un punto nei sondaggi, ignorando del tutto i contenuti. Che senso ha, altrimenti, per il centro-destra non votare la riforma del mercato del lavoro su cui si è battuta per anni, che ha inseguito prima ancora che il Pd nascesse, senza riuscire mai ad afferrarla. Nel momento in cui poteva rivendicare una primogenitura, esce dall’Aula, boccia la legge. Rinuncia, di fatto, al suo programma. Unico dissenso alla Camera Massimo Corsaro di Fratelli d’Italia che con onestà dichiara: «Ho votato sì, è stata una riforma per la quale mi sono battuto già più di dieci anni fa, non potevo non votarla».
E quello stesso calcolo spicciolo, fatto di mese in mese in base ai sondaggi o alla paura del voto, si ritrova nei mille posizionamenti – di tutti i partiti – sulla legge elettorale. Preferenze o non preferenze. Premio alla lista o alla coalizione. Sbarramento al 4 o al 2 per cento. Di nuovo, interessi opachi di piccoli contro grandi, correnti di sinistra o del Sud che si muovono rincorrendo pacchetti di voti senza un’idea stabile di sistema politico-istituzionale. E, alla fine, senza avere davvero la voglia di governare ma solo di vincere o di far perdere l’avversario, anche interno al partito. La solita logica con cui sono state congegnate diverse leggi elettorali inclusa quella di prima.
Ieri Roberto Morassut, deputato Pd di Roma diceva: «Le correnti vanno bene se hanno una loro dignità politica, se esprimono contenuti, ma qui siamo di fronte a organizzazioni tribali per la spartizione del potere». Lui parlava di ciò che è diventato il suo partito a Roma ma si può proiettare su tutti e su scala nazionale. Ecco allora che quei numeri della Corte dei Conti – che lo scorso giugno ha contato 144.591 politici eletti in Italia -?diventano un macigno. Parlamentari nazionali, europei, politici regionali, comunali e ancora provinciali. Un esercito che costa 7 miliardi – molto più che il taglio dell’Irap, quasi quanto il bonus Irpef – ma non sono solo i soldi a pesare. Il punto è che sempre più spesso non si capisce cosa e chi rappresentino.