La Stampa, 4 dicembre 2014
Il Senato approva il Jobs Act, ora è legge. Abolito l’articolo 18, addio Co.co.co e più tutele ai giovani. Il provvedimento prevede il superamento dei contratti atipici, modifiche alla Cig e al trattamento di disoccupazione. Ma restano ancora nodi da sciogliere: le regole varranno anche per gli statali? Quanti precari verranno eliminati?
In realtà quello appena approvato in via definitiva dal Senato è soltanto l’«ossatura» della riforma del lavoro prossima ventura. Come sappiamo, ieri è stato dato il via libera del Parlamento a una legge delega, di cui il testo licenziato indica solo i principi fondamentali cui il governo dovrà ispirarsi al momenti di stendere i decreti delegati che dovranno definire in concreto le nuove regole. L’Esecutivo – che ha scommesso moltissimo sulla riforma – assicura che i testi dei decreti sono già pronti, o in via di definizione; e il premier Matteo Renzi ha promesso che tutto quanto sarà pronto in tempo per il prossimo primo gennaio. In ogni caso molte questioni, e di grande rilievo – restano per ora aperte: le nuove regole varranno anche per il pubblico impiego? quanti e quali contratti precari verranno eliminati? A quanto ammonterà l’indennità economica prevista per in caso di licenziamento? Si potrà assumere un dipendente con il vecchio contratto, senza «tutele crescenti» e con l’art.18? Come funzioneranno l’indennità di disoccupazione e i nuovi ammortizzatori sociali? E la lista dei punti interrogativi non finisce certo qui. Vediamo per ora in sintesi come potrebbe cambiare il mondo del lavoro.
Tutele crescenti
È la novità più esplosiva. Il nuovo contratto è «a tempo indeterminato», ma non avrà più nelle aziende con più di 15 dipendenti la tutela prevista dall’art.18. Non è chiaro ancora quali saranno le altre «tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio»; l’unica nota è che il reintegro nel posto ci sarà solo per i licenziamenti illegittimi perché nulli o discriminatori, e per alcuni di quelli disciplinari. Si potrà essere licenziati liberamente per esigenze aziendali, ricevendo solo un indennizzo, che potrebbe essere defiscalizzato.
Il riordino dei contratti
Sulla carta, il contratto a tutele crescenti deve diventare la modalità normale di assunzione. Sempre sulla carta, dovranno essere sfoltite le molte forme contrattuali precarie e atipiche, a cominciare dalle (ormai desuete) collaborazioni coordinate e continuative. Dovrebbe nascere un testo organico di disciplina delle varie tipologie contrattuali.
Il demensionamento
Oggi vietato dalla legge, domani un’azienda potrà cambiare al ribasso le mansioni di un dipendente. Da definire le procedure per l’operazione, anche se pare che la retribuzione dovrà rimanere comunque inalterata. Viene rivista anche la disciplina dei controlli a distanza con la possibilità di controllare indirettamente i lavoratori, monitorando impianti e strumenti di lavoro.
La cassa integrazione
Sarà impossibile autorizzare la cassa integrazione in caso di cessazione «definitiva» di attività aziendale. In generale, si punta ad assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori con tutele uniformi anche se legate alla storia contributiva del dipendente. Saranno rivisti i limiti di durata del sussidio (adesso il tetto è di due anni per la cassa ordinaria e di quattro per la straordinaria) e sarà prevista una maggiore partecipazione da parte delle aziende che la utilizzano. Si punta alla riduzione delle aliquote di contribuzione ordinarie (ora all’1,9% della retribuzione) con la rimodulazione delle stesse tra i settori in funzione dell’effettivo impiego.
Il sussidio di disoccupazione
Arriva la «Nuova assicurazione sociale per l’impiego», un sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro. La durata del trattamento dovrà essere rapportata alla «pregressa storia contributiva» del lavoratore con l’incremento della durata massima (ora fissata a 18 mesi a regime nel 2016) per quelli con le carriere contributive più rilevanti. Si vuole estendere l’Aspi ai collaboratori, finché i Co.co.co esisteranno. Per le persone in situazione di disagio economico potrebbe essere introdotta dopo la fruizione dell’Aspi un’altra prestazione, eventualmente priva di contributi figurativi.
Agenzia per l’impiego
Nasce un’Agenzia nazionale per l’impiego, che dovrà coordinare una rete di servizi in grado di assicurare formazione e nuove occasioni di lavoro a chi è disoccupato e a chi ha perso il posto. L’obiettivo è svolgere tutti gli adempimenti per via telematica.
Maternità e ferie
La delega prevede l’introduzione universale dell’indennità di maternità e il diritto per le lavoratrici madri parasubordinate all’assistenza anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro. Previste misure per evitare la pratica delle cosiddette «dimissioni in bianco». Si potranno cedere parte delle ferie annuali retribuite a colleghi con figli minori malati gravi.
Ora viene il difficile: approvata la legge delega, il governo deve introdurre le norme di attuazione. Per completare la riforma del mercato del lavoro Renzi ha a disposizione sei mesi. Il primo passo sarà, entro gennaio, il contratto a tutele crescenti. Seguiranno l’allargamento del sussidio di disoccupazione, la semplificazione delle forme contrattuali, la riforma della cassa integrazione e delle cosiddette politiche attive, ovvero gli strumenti per riqualificare chi perde il lavoro. Cinque pacchetti di decreti «per riformare compiutamente una materia complessa e stratificata», spiega Filippo Taddei che ha seguito passo passo la trattativa in Parlamento.
Il primo decreto è anche il più controverso, poiché è quello che seppellirà una volta per tutte il vecchio articolo 18. A guardar bene, la lunga trattativa con la minoranza nel passaggio alla Camera ha permesso al governo di fare un passo avanti: la delega ora esclude esplicitamente la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici (quelli ad esempio causati da un calo produttivo) e prevede in cambio «un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio». Il giudice potrà reintegrare il lavoratore solo nel caso di «licenziamenti nulli e discriminatori» (ad esempio quelli per pregiudizi razziali) e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare». Ecco il primo punto delicatissimo: quali saranno queste fattispecie? Taddei nega che ci sia pronto un testo ma fa capire che non manca molto: «Vogliamo che i casi nei quali il giudice può reintegrare siano limitati alle accuse più odiose, quelle che ledono la dignità del lavoratore o perché false. Queste ipotesi non sono molte». Altro punto delicatissimo: potrà l’imprenditore scegliere comunque di non reintegrare il lavoratore e pagare un indennizzo più alto? Su questo Taddei non si esprime, ma secondo le indiscrezioni che filtrano nei palazzi la soluzione dell’«opting out» al momento è molto controversa e nel governo non riscuote molto consenso. E in ogni caso, a quanto ammonteranno gli indennizzi per i licenziamenti? Questo è l’aspetto più importante per le imprese. Qui le ipotesi sono due. Taddei le riassume così: «È ragionevole pensare che l’indennizzo si attesti fra una e due mensilità l’anno per ogni anno di lavoro».
Circoscritte le tutele il governo avrà superato l’ostacolo politicamente più sensibile. Eppure Taddei è convinto che il difficile arriverà allora: «I due nodi sono la semplificazione delle forme contrattuali e la riforma della cassa integrazione. Del resto, è come se parlassimo di matrimonio e discutessimo solo di divorzio». Il Jobs Act allargherà il sussidio di disoccupazione a circa trecentomila persone che oggi non lo ricevono: si tratta dei collaboratori continuativi, a progetto e a tutti coloro che non riescono ad avere periodi di lavoro stabile, che per una ragione all’altra passano da un contratto all’altro. Per ora non ci sono invece i fondi per allargare il sussidio alle false partite Iva. Nel governo sono convinti che il resto lo faranno gli sgravi fiscali, ovvero che la decontribuzione e lo sconto Irap per chi assume stabilmente elimineranno progressivamente le storture del vecchio sistema. Oggi, dice la Cgil, ci sarebbero circa quaranta tipi di contratti di lavoro. Altri sostengono che non sono più di nove. Taddei la mette così: «Quel che conta è ricondurre il mercato del lavoro in tre grandi categorie: a tempo indeterminato, determinato, e autonomo in senso stretto. Se poi saranno tre o nove poco cambia».