Libero, 4 dicembre 2014
All’interrogatorio del processo che lo vede imputato per il naufragio della Costa Concordia, Schettino ha mostrato la solita spavalderia: «Sulla nave io, come comandante, sono il primo dopo Dio. Volevo far arrivare la Concordia più possibile sotto l’isola, altrimenti se avessimo dato i sette fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c’erano state, la gente si sarebbe buttata in acqua. L’allarme? Non era mica l’ottovolante»
L’ex comandante della Concordia, nel day-2 dell’interrogatorio del processo che lo vede imputato per il naufragio del colosso della Costa – la tragica sera del 13 gennaio 2012 – ha mostrato la solita spavalderia. Sulla nave «io, come comandante, sono il primo dopo Dio», ha detto al pm Alessandro Leopizzi, che lo interrogava sul perché non avesse dato subito l’allarme. «Volevo far arrivare la Concordia più possibile sotto l’isola, altrimenti se avessimo dato i sette fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c’erano state, la gente si sarebbe buttata in acqua», nella fase peraltro più delicata, ovvero la paurosa inclinazione dello scafo.
E ciò, secondo Schettino, avrebbe causato ancor più morti. «Ero certo della galleggiabilità della nave», ha poi precisato, chiarendo che ciò poteva benissimo avvenire persino con tre compartimenti motore allagati. «D’inerzia – ha chiarito – con la prora al grecale, sarebbe tornata verso l’isola. Ho atteso a dare l’emergenza generale in quanto sapevo esattamente i tempi di scarroccio della nave. Conoscevo bene la Concordia, volevo fare in modo che si avvicinasse all’isola e poi allora dare l’allarme a tutti i passeggeri. Il danno era ormai fatto. Andava mitigato».
Una risposta che non ha convinto il pm, il quale ha continuato a snocciolare domande sul ritardo nell’allarme. «Temevo il panico – ha tenuto a dire Schettino – l’ho fatto per tranquillizzare le persone». Il comandante ha poi spiegato di non aver dato neanche il segnale «distress», ovvero quello che di solito si lancia per richiamare l’attenzione delle altre navi perché «lo scenario era diverso, non eravamo in mezzo all’Oceano». Leopizzi gli ha chiesto quindi se il segnale di distress sarebbe stato dato se Gregorio De Falco non avesse chiamato dalla Capitaneria. Il comandante ha risposto: «Credo di sì, l’avrei dato poco dopo. Sarebbe stato utilissimo darlo, ma solo per un fatto formale». Riguardo ai messaggi rassicuranti trasmessi dai microfoni: «Era per tranquillizare le persone. Non erano mica sull’ottovolante» E ha poi ammesso di aver dato lui l’ordine di abbandono della nave. «Materialmente fu Bosio a darlo – ha detto – ma io l’ho disposto. Stavo seguendo lo scarrocciamento della nave perché temevo che le scialuppe di destra andassero sugli scogli. Io d’altronde ero sull’aletta e lì non c’era un microfono». Quanto all’arrivo in plancia del capo maître Ciro Onorato, Schettino ha ricondotto la richiesta al bisogno «di avere un sostegno morale», anche se è ormai noto che Onorato fosse poco prima con lui e Domnica Cermotan a cena. Il comandante ha raccontato di aver sempre avuto idea sul da farsi, glissando però alla domanda legata alla bugia detta nella comunicazione con le Capitanerie. «Avrebbe dovuto pensarci Ferrarini (il manager di Costa ndr) – ha chiarito Schettino -, ma mi disse che i rimorchiatori si sarebbero mangiati la nave». Così decise di raccontare che c’era solo un blackout. Peccato che i passeggeri già avevano avvertito le autorità su quanto stava accadendo e che la macchina dei soccorsi fosse stata appena messa in moto.