Libero, 4 dicembre 2014
Da ieri, un Btp decennale rende uno striminzito 1,973 per cento, ovvero per 10.000 euro prestati al Tesoro un risparmiatore ne ricaverà, in interessi, solo 193,3 annui di qui al 2024. A questi livelli, almeno per ora, i conti deposito possono essere più generosi del Tesoro
Mario Draghi parlerà solo oggi, nel primo pomeriggio. Ma i mercati hanno già deciso, comprimendo i rendimenti dei titoli di Stato ai minimi storici. Da ieri, un Btp decennale rende uno striminzito 1,973 per cento, ovvero per 10.000 euro prestati al Tesoro un risparmiatore ne ricaverà, in interessi, solo 193,3 annui di qui al 2024. Ma la cifra sarà ben più misera se si tiene conto delle imposte su cedole e capitale (il 12,5%), commissioni d’acquisto e di vendita (non meno dello 0,4%) e spese di custodia del titolo, variabili a seconda degli istituti. Uno studio condotto nel 2012 dal team del prorettore della Bocconi Stefano Caselli aveva verificato che le spese potevano mangiarsi più del 40% delle cedole.
A questi livelli, almeno per ora, i conti deposito possono essere più generosi del Tesoro. Diversi istituti per un deposito vincolato a 365 giorni offrono rendimenti fino al 2,30%: al netto di bollo e tasse, il risparmiatore può sperare, a fine 2015, di incassare 150 euro di interessi. Di fronte a certe cifre, però, è difficile parlare di risparmio. Il deposito, così come l’investimento a rischio zero in un titolo di Stato ha ormai più il sapore di un parcheggio piuttosto che di una forma di impiego del risparmio.
Insomma, anche se oggi Draghi prenderà tempo rinviando al 2015 la decisione di acquistare titoli di Stato, l’ormai famoso Quantitative Easing, il cammino sembra segnato: centesimo più, centesimo meno siamo entrati nel tunnel del denaro quasi a zero, conseguenza della caduta dei prezzi ben sotto il 2%, l’obiettivo esplicito della Bce. Una prospettiva tutt’altro che allegra, perché frutto della caduta della domanda di denaro da parte delle imprese, in assenza di prospettive di ricavi e utili, e delle famiglie, troppo impoverite e impaurite per consumare. Fin qui uno scenario grigio, interrotto però da alcune note «rosa».
Innanzitutto c’è il calo del petrolio, in ribasso del 40% da giugno, con un massiccio travaso di capitali dai Paesi produttori ai consumatori: circa 1.300 miliardi di dollari sono stati travasati dalle casse di Russia, Venezuela, Iran oltre che Arabia Saudita a favore dell’Europa, del Giappone o dell’India. Un regalo di fine anno. Non solo perché i minori costi del greggio si traducono in un vantaggio per aziende industriali e e utility. Ma anche perché generano deflazione «buona», giustificata dai minori costi, scacciando quella cattiva: un conto è se un bene costa meno perché le materie prime sono più a buon prezzo, altro se il negoziante è obbligato a far sconti, anche a rischio di rimetterci.
Il calo dei tassi, che comunque ci sarà, favorisce la svalutazione dell’euro: un 10% in meno rispetto al dollaro vale un punto di Pil grazie alla maggior competitività delle esportazioni italiane. E poi, anche sul fronte dei rendimenti striminziti, c’è un rovescio positivo della medaglia. Le banche hanno meno convenienza a investire in Btp o Bot. E per la prima volta da cinque anni, tornano a crescere i mutui alle famiglie e i prestiti alle piccole imprese. Insomma, non è il caso di esultare, ma nemmeno di cedere allo sconforto: meno Bot, più attenzione al risparmio gestito, badando a diversificare le forme di risparmio. Magari puntando su quei settori (le telecomunicazioni ad esempio) meno sensibili al greggio. O sui dividendi: non sono poche le cedole che rendono più del 3 per cento.