Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2014
La guerra del greggio, figlia della decisione dell’Opec di non tagliare la produzione, sospinge una timida ripresa: ma all’economia italiana servirebbe qualche cosa di più durevole. Un’altra mano potrebbe venire dalla politica estera, dall’alleggerimento delle sanzioni a Iran e Russia, dal far comprendere all’Europa e ai nostri alleati americani che per noi nel Mediterraneo e sull’asse Nord-Sud si gioca una partita decisiva
La guerra del greggio, figlia della decisione dell’Opec di non tagliare la produzione, sospinge una timida ripresa: ma alla nostra economia servirebbe qualche cosa di più durevole. Un’altra mano potrebbe venire dalla politica estera, dall’alleggerimento delle sanzioni a Iran e Russia, dal far comprendere all’Europa e ai nostri alleati americani che per noi nel Mediterraneo e sull’asse Nord-Sud si gioca una partita decisiva.
La Turchia, per esempio, non applica sanzioni né a Teheran né a Mosca. È vero che non è nell’Unione Europea ma è un membro storico della Nato che però fa quello che vuole, non quello che dicono a Bruxelles o a Washington. E non solo con la Russia o l’Iran, ma anche a proposito del Califfato che si guarda bene dal combattere perché è contro i suoi interessi. Erdogan paga i costi dei profughi siriani (1,6 milioni) pur di non dovere rendere conto a nessuno.
Fa bene o male? I risultati per lui sono comunque confortanti. Riceve chi vuole, dal Papa a Putin. E presto, l’11 dicembre ad Ankara, anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi reduce dalla missione in Algeria. Non è un isolato Erdogan: si prepara alla presidenza del G-20 con il progetto di creare un Forum internazionale per le piccole e medie imprese (che rappresentano due terzi dell’export di Ankara).
Grazie al fatto che non applica sanzioni, Ankara è il principale beneficiario della politica energetica russa, che oltre al gasdotto Blue Stream (opera di Eni-Gazprom) gli porterà in casa altro gas a prezzo scontato, mentre l’italiana Saipem dovrà rinunciare a un paio di miliardi di commesse per l’annullamento del South Stream. In cinque anni l’interscambio russo-turco raggiungerà i 100 miliardi di dollari, mentre con l’Iran Erdogan punta ai 35 miliardi di dollari. Eppure Mosca e Teheran sono avversari della Turchia che mira ad abbattere il siriano Bashar Assad, alleato storico di Iran e Russia.
All’Italia le sanzioni costano non poco in termini economici e di posti di lavoro. Con Mosca si parla di perdite nel biennio 2014-2015 di 3,7 miliardi di euro (stime del Centro ricerche Bocconi). Con l’Iran invece il valore del nostro export tra il 2014 e il 2016, ricorda la Sace, poteva sfiorare i 20 miliardi di euro: ne perderemo 16. Dal 2006 l’Italia ha lasciato sul terreno 15 miliardi di commesse in Iran. Ma c’è di più. Altri partner a Mosca e Teheran prendono il posto delle aziende italiane.
Eppure appena l’Italia muove un passo, gli alleati alzano il sopracciglio. Accadde l’anno scorso con gli americani, quando il vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli andò a Teheran dopo l’elezione di Hassan Rohani, primo alto funzionario occidentale in Iran dopo anni, per preparare la visita dell’ex ministro degli Esteri Emma Bonino. Pistelli in questi giorni è a Teheran, mentre si susseguono le visite di esponenti iraniani in Italia per promuovere l’alleggerimento delle sanzioni. I nostri alleati-concorrenti meditano invece di fare lo sgambetto a Lady Pesc,Federica Mogherini,lasciando alla baronessa Ashton la gestione del negoziato sul nucleare: una manovra inammissibile.
Gli Stati Uniti sono molto attenti a quello che facciamo, un po’ meno a quello che ci fanno loro. L’intelligence americana ha messo in guardia il nostro governo sui rischi dell’ingresso dei capitali cinesi in settori chiave come l’energia e la difesa, e suggerisce soluzioni poco praticabili.
Ma su altre questioni i nostri alleati americani ed europei si sono mostrati molto meno attenti nei riguardi dell’Italia. Il caso della Libia, partner strategico per l’energia, è emblematico. Trascinato nel 2011 nella guerra contro Gheddafi da francesi e britannici che puntavano a sostituirci a Tripoli, Obama tre anni dopo ammette che forse l’operazione libica è stata «una leggerezza». All’Italia questa leggerezza è costata miliardi e un’instabilità cronica ai suoi confini.
La Libia sprofonda nella guerra civile, divisa tra Tripolitania e Cirenaica, tra due parlamenti e due governi: e i nostri interessi stanno in maggior parte a Tripoli dove quella italiana è l’unica ambasciata aperta. Ma quando è venuto in Italia il generale egiziano al-Sisi siamo di nuovo caduti nella trappola appoggiando la sua guerra al terrorismo anche in Libia: peccato che per lui e i suoi alleati siano «terroristi» tutti quelli contrari a ingerenze esterne e non soltanto i jihadisti che mozzano le teste. Prendiamo pure con entusiasmo questo calo del greggio ma dobbiamo parlare chiaro con i nostri alleati perché gli Stati, come diceva de Gaulle, non hanno amici ma interessi. E i nostri”amici” di sconti non ce ne fanno.