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 2014  dicembre 04 Giovedì calendario

Il crollo inarrestabile del rublo: in una settimana perso il 16 per cento sul dollaro. E l’economia russa si avvia alla recessione. La finanziaria per il 2015, prevede infatti una contrazione del Pil dello 0,8%, contro la precedente stima di crescita dell’1,2%

Il giorno dopo la presentazione della legge di bilancio che ha messo nero su bianco tutta la debolezza dell’economia russa, il rublo ha fatto registrare un nuovo record negativo, salvo poi recuperare, in parte, grazie all’intervento della banca centrale. Per acquistare un dollaro ieri mattina servivano fino 54,91 rubli, con una flessione che da inizio anno è ormai pari al 60%, mentre il cambio con l’euro scivola verso quota 66. In sei giorni il rublo ha perso il 16%: è il crollo più pesante dal 1998, l’anno nero della Russia, quello del default.
Martedì, finalmente, il governo ha ammesso che l’economia sta entrando in recessione. La finanziaria per il 2015, prevede infatti una contrazione del Pil dello 0,8%, contro la precedente stima di crescita dell’1,2%. La correzione arriva sulla base di nuove assunzioni sulle quotazioni del petrolio, abbassate da 100 a 80 dollari al barile. Assunzioni che potrebbero a loro volta rivelarsi ottimistiche e di certo lo sono rispetto ai valori attuali. Tanto che il governo ha elaborato uno scenario alternativo, sulla base di un prezzo a 60 dollari al barile: in questo caso l’economia subirebbe una contrazione del 3,5-4%.
La risposta dei mercati è stata immediata, con l’aumento dei rendimenti dei bond e del costo per assicurare il debito sovrano dal rischio default (Cds). Ieri, il tasso sulle obbligazioni a 10 anni denominate in rubli è salito di oltre 15 punti base a un soffio dall’11%, mentre i Cds a 5 anni hanno raggiunto i massimi dal 2009, oltre 354 punti base. Chi avesse investito 10 milioni di dollari in debito russo, deve pagare 354mila dollari all’anno per proteggerlo dall’eventualità che Mosca non sia più in grado di rimborsarlo. Una settimana fa, il premio superava appena i 300mila dollari.
Per ora il mercato azionario resta al riparo, con il Micex in rialzo del 6% da gennaio. La Russia può contare sulle ricche riserve della banca centrale, a loro volta messe però sotto pressione dal crollo della moneta: dall’inizio di ottobre sono stati bruciati 30 miliardi di dollari per frenarlo. Ma l’emorragia da inizio anno è di 90 miliardi, portando il tesoretto da 510 a 420 miliardi. Non tutti però sarebbero immediatamente mobilizzabili per rispondere a una crisi di vasta portata. Secondo l’Economist, 170 miliardi sarebbero nella pancia di due mega-fondi, il Reserve Fund e il National Wealth Fund, e potrebbero rivelarsi poco liquidi. Secondo Mikhail Zadornov, un ex ministro delle Finanze, la banca centrale potrebbe in realtà contare solo su 200 miliardi. Di questo passo, finirebbe presto per ritrovarsi con un cuscinetto finanziario appena sufficiente a coprire tre mesi di importazioni, livello sotto il quale ai mercati cominciano a venire i brividi.
Anche per questo, il 10 novembre la banca centrale ha annunciato che avrebbe lasciato il cambio libero di fluttuare. Un proposito abbandonato già il 1° dicembre, quando è dovuta tornare sul mercato con un intervento da 700 milioni di dollari. E ieri si stima ne abbia usati altri 600 milioni (forse un miliardo).
Il calo del greggio è solo uno dei fattori che pesano su economia e moneta. A farsi sentire sono anche le sanzioni imposte dall’Occidente per la crisi ucraina, che hanno innescato una fuga di capitali costata 125 miliardi di dollari quest’anno. Altri 80 miliardi potrebbero seguirli nel 2015. Entro la fine del mese, banche e imprese dovranno rimborsare 30 miliardi di dollari di debito in valuta estera. Le sanzioni sbarrano però la strada al finanziamento sui mercati obbligazionari internazionali: pertanto non resterà che comprare dollari. E se si sposta l’orizzonte alla fine del 2015, la somma da rimborsare balza a 130 miliardi di dollari.
La debolezza del rublo sta poi facendo schizzare il costo della vita. L’inflazione nel 2014 supererà la stima iniziale del 7,5% per attestarsi al 9%, secondo il ministero delle Finanze. Una dinamica che ha già costretto la banca centrale ad alzare i tassi più volte, aumentando i costi di finanziamento per imprese e consumatori e aggiungendo ulteriore zavorra alla già anemica economia.
Con l’oro nero che non garantisce più alle casse dello Stato le risorse necessarie per finanziare la spesa pubblica (da greggio ed energia arriva metà delle entrate), Mosca è alle prese con il suo piano di tagli. Per ora welfare e difesa non si toccano, lo zar Putin non può permettersi né misure troppo impopolari, né di smettere di alimentare l’apparato militare industriale. Anzi, le risorse per la difesa aumentano del 30%, portando il totale al 4,2% del Pil. La scure si abbatte così sugli stanziamenti per innovazione e sviluppo, zone economiche speciali e piccole imprese. Tutti finanziamenti di cui il sistema economico russo avrebbe bisogno, ora più che mai.
Oggi Vladimir Putin si rivolgerà alla nazione nell’annuale discorso sullo stato del Paese: ne approfitterà per offrire l’immagine di sé come leader forte e nel pieno controllo della situazione. Non importa quanto fragile questa sia.