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 2014  dicembre 04 Giovedì calendario

Vent’anni di PlayStation, la console che cambiò la vita degli adolescenti (e non solo) di tutto il mondo, icona del successo globale dei videogames

Dopo 425 milioni di esemplari venduti in tutto il mondo e 14 milioni solo in Italia, la PlayStation non è più una console, ma un’icona: era successo prima per il Walkman, sempre di Sony, e accadrà poi per l’iPod.
Nata il 3 dicembre 1994, la prima PlayStation debutta in un mercato dominato da Nintendo e Sega. Il successo non è scontato, invece arriva presto, anche grazie a una campagna pubblicitaria aggressiva e intelligente. È un prodotto assai avanzato tecnicamente, con processore da 32 bit, grafica in 3D e non usa cartucce, ma compact disc: è questo uno dei motivi del suo successo. Non all’inizio, ma qualche anno più tardi, quando i masterizzatori diventano standard sui computer: Sony ci guadagna sempre, o con giochi e console, o con dischi vergini, pc e unità di scrittura usati per copiare i videogame. Un bizzarro corto circuito di interessi, oltre 100 milioni di esemplari venduti. Nel 2000 rinasce col nome di PSone.
La seconda generazione, nera e spigolosa, debutta nel 2000: ha un processore potentissimo, e Sony con una geniale mossa di marketing lo battezza il motore delle emozioni. Tecnologia e passione insieme al servizio di videogame sempre più spettacolari, da Grand Theft Auto III a Devil May Cry, da Shadow of the Colossus a Metal Gear Solid III, da God of War a Gran Turismo. Prodotta fino alla fine del 2012, la PS2 è la console più venduta del mondo, con 155 milioni di esemplari (compresa la versione «slim», la prima con modem). I giochi sono su dvd, e non è un caso se in questo periodo i computer passano dal masterizzatore cd a quello per dvd.
La terza versione arriva nel 2006, mentre Microsoft ha già lanciato la Xbox e Sony la PSP, la PlayStation Portable. Altro processore potentissimo, sviluppato in collaborazione con Toshiba e Ibm, e nuovo supporto ottico, il Blu Ray. Costa tanto (in Italia 599 euro), ma anche così i primi anni per Sony sono in perdita, viste le cospicue spese di ricerca e sviluppo. Il nuovo modello, lanciato lo scorso anno, è meno visionario, adotta tecnologie utilizzate sui normali computer e arriva dopo la rivoluzione dei casual gamers, i giocatori su smartphone e tablet, sempre meno disposti a sborsare decine di euro per un gioco. Eppure anche la PS4 è un successo e vende 13.5 milioni di esemplari, il doppio della concorrente Xbox One. In Italia sono 500 mila circa: siamo per guadagni generati il quarto Paese in Europa e il nono a livello mondiale, con un giro d’affari di un miliardo di euro.

Bruno Ruffilli


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Per noi nati nella Preistoria, ovvero all’epoca in cui la PlayStation non era neppure un sogno, visto che sognavamo giusto di stracciare i nostri coetanei a calciobalilla o a Subbuteo oppure a flipper, già solo l’avvento dei primissimi giochi elettronici fu una sorta di tuffo nel futuro. Ricordo perfettamente il Natale in cui sotto l’albero trovai il Pong della Atari, e la meraviglia di poter giocare a quella specie di tennis fatto con due barre e una pallina collegando l’apposito cavo al vecchio televisore.
Era il 1976, avevo 11 anni e già solo così mi sembrava di vivere in un film di fantascienza, o in un episodio di una delle mie serie tivù preferite, Spazio 1999. Non potevo sapere che di lì a un paio d’anni, nel 1978, la giapponese Taito avrebbe messo sul mercato e dunque nei bar e quindi nelle sale gioco di tutto il mondo un videogame chiamato Space Invaders, destinato a risucchiare me e innumerevoli altri dentro uno schermo nero da cui piovevano i marziani.
E tanto meno potevo immaginare che nel dicembre del 1994 la Sony avrebbe lanciato in Giappone una cosa chiamata PlayStation, destinata di lì a poco a sbarcare nel resto del mondo diventando per gli amici o per gli aficionados o se preferite per gli invasati semplicemente la PS. Ecco, cercate di capire, voi ventenni di oggi che con la PlayStation ci siete nati: per noi fino ad allora il massimo era stato fingere che gli omini rossi del calciobalilla indossassero la maglia del Toro, o che quelli del Subbuteo – che la maglia della nostra squadra del cuore volendo ce l’avevano davvero – corressero per conto loro su un prato verde, anziché zompare in punta di dito da un punto all’altro di un panno simile a quello del biliardo.
Ecco perché la PlayStation, con i suoi effetti tridimensionali e i suoi suoni, è stata per molti un vero e proprio shock culturale, al di là del realismo con cui i vari giochi erano stati progettati: vedi Ridge Racer, in cui a contare era innanzitutto la velocità, e non la credibilità del bolide. Per tacere del fatto che per addomesticare il joystick a quelli come noi occorreva una certa pratica, mentre oggi l’uso del medesimo fa parte delle capacità di un qualsiasi neonato, e non si esclude che il pollice delle generazioni a venire sarà fatto in modo da poterci giocare con risultati migliori. Comunque.
Nel 1994, avere in casa un computer era ancora abbastanza un lusso, e l’intuizione della Sony fu di farci giocare senza che ci fosse bisogno di possederne uno, e senza che dovessimo chiuderci nella semioscurità di una sala giochi. E dire che all’epoca ci fu chi considerò la cosa un azzardo. Sta di fatto che aprire la scatola della prima PlayStation, accenderla e impugnare il suo joystick fu davvero un po’ come mettersi ai comandi di un’astronave materializzatasi in salotto: e il grigio PS della prima PS, oggi replicato in esclusiva per l’edizione limitata che celebra questo ventennale, evocava per molti quello delle navi da combattimento di Blade Runner, da sempre in fiamme al largo dei Bastioni di Orione.
Mentre Kurt Cobain finiva la sua corsa e comparivano i primi telefoni cellulari, la PS faceva sempre nuovi proseliti. Presto, con l’arrivo nel 2000 della PlayStation 2, anche chi non era un replicante alla Rutger Hauer avrebbe esplorato i meandri più nascosti dell’Universo con Ratchet e Clank. Poi sarebbe arrivata la PS3, e dopo di lei la PS4.
Nel mezzo, innumerevoli gare automobilistiche, avventure contro ogni tipo di nemici e di mostri, e tante, tantissime partite di calcio grazie alla serie Fifa, in cui ci siamo davvero trasformati in allenatori, scegliendo schemi e moduli di gioco: senza più doverci immaginare i cori provenienti dagli spalti, di cui sentivamo tanto la mancanza ai bordi di calciobalilla e Subbuteo. Con l’impressione, talvolta, che il calcio alla PlayStation sia perfino più vero di quello giocato. Ma qui non si tratta del realismo del gioco elettronico, bensì di quello di certe partite del campionato.
Giuseppe Culicchia