Corriere della Sera, 4 dicembre 2014
Il ruolo del portiere spiegato da Dino Zoff, monumento suo malgrado. Le parate, i segreti, gli eredi: «Neuer è un grande, è da Pallone d’oro. Ma alla fine vincerà uno tra Ronaldo e Messi»
Dino Zoff, com’è la vita di un Monumento?
«Normalissima. E le dirò, non mi sento un monumento. Anche perché i monumenti sono i bersagli preferiti dai piccioni».
Scrittore?
«Non scherziamo, ho fatto solo un’autobiografia».
Giocatore di golf?
«Non scherziamo nemmeno qui. Diciamo che mi diverto con gli amici».
Si diverte e ci litiga, se perde...
«Assolutamente. Se non c’è competizione, non si comincia nemmeno».
Allora ex calciatore.
«Quello sì. Molto ex».
Quanto è cambiato il calcio, rispetto ai suoi tempi?
«Mah, io lo vedo come sempre. È solo cambiato il contorno. In campo si va sempre in undici, le misure sono sempre le stesse, il prato è sempre quello...».
Il prato. Lei ha parlato dell’odore dell’erba.
«Inconfondibile. Sono stato portiere, e il portiere è sempre a terra, a contatto con l’erba, è una vita passata sull’erba. Quel profumo ti entra dentro».
Fa il modesto. Non è stato portiere, è stato IL portiere.
«Diciamo che me la sono cavata».
Sul fatto che il calcio non sia cambiato, non ha torto. Ai suoi tempi vinceva la Juventus, oggi vince la Juventus.
«Perché alla Juve fanno bene le cose, hanno una società solida alle spalle, hanno programmazione. E hanno anche potere finanziario, magari non come quello di Real, Barcellona, Psg e di qualche squadra inglese, ma non è che stiano proprio male male. E vincere per tre anni di fila non è semplice».
Merito anche di Antonio Conte, che oggi è c.t. e si lamenta per il poco tempo in cui può allenare gli azzurri. Anche lei è stato c.t. Ai suoi tempi com’era?
«Uguale».
E si lamentava anche lei?
«Era inutile. Le cose stavano così, non si poteva far altro. A discolpa di Antonio posso dire che ai miei tempi c’erano meno squadre e quindi, forse, un po’ di tempo in più per la Nazionale, e soprattutto c’era una scelta maggiore».
A che età ha debuttato lei in Nazionale?
«A 26 anni. Facendo, come si diceva, tutta la trafila».
Oggi bastano tre partite buone in serie A per sentirsi pronti per l’azzurro. A giugno il suo conterraneo Scuffet sembrava già pronto per la Nazionale a 18 anni, 5 mesi dopo è tornato a fare la riserva nell’Udinese.
«Se si esordisce a 18 anni in serie A significa che i numeri ci sono, che hai doti evidenti. Poi è chiaro che oggi è quasi necessario ricorrere a gente che non ha fatto gavetta: manca la materia prima».
Ruolo difficile, quello del portiere?
«Più che difficile, diverso. Fai parte di una squadra ma hai la maglia differente da tutti gli altri, usi le mani mentre i tuoi compagni giocano con i piedi, puoi non toccare un pallone eppure perdere per colpa tua. Hai tempi morti lunghissimi, non puoi sfogarti come gli altri correndo e saltando. Servono concentrazione, carattere, attitudine».
Che ne pensa dei colleghi?
«Ce ne sono diversi molto bravi».
Manuel Neuer, portiere del Bayern, è candidato al Pallone d’oro. Lo merita?
«È bravo, lo merita eccome».
Vincerà?
«Difficile. Ha davanti fenomeni assoluti come Ronaldo e Messi, non credo possa vincere. È capitato anche a me: nel ’73 ero candidato al Pallone d’oro, ma lo era anche Cruijff. E naturalmente vinse lui».
Differenze nel ruolo rispetto ai suoi tempi?
«Bisogna saper parare oggi, bisognava saper parare allora».
Oggi pare sia necessario essere più bravi con i piedi.
«Per rinviare un pallone? Non credo. Io, nel mio piccolo, ho vissuto un periodo in cui hanno pensato di farmi diventare rigorista della squadra. Quindi con i piedi non ero male nemmeno io. Ma per fare il portiere servono le mani».
Le manca il calcio?
«Mi manca come mi mancano i miei 30 anni. Sono fasi della vita».
Da calciatore ha vinto tutto. Da allenatore e da dirigente non pensa che avrebbe potuto ottenere di più?
«Mah... Non ero niente male, ma dovevo sempre portare dei numeri per essere apprezzato, mentre ad altri questo non era necessario. Andavano, e vanno, più di moda “cose vecchie col vestito nuovo”, come cantava Guccini».
L’immagine conta?
«Moltissimo».
E lei non ha mai pensato di adeguarsi?
«Mi ci vede?».
In effetti non tanto.
«Ho giocato a calcio. Ho allenato. Il gioco del calcio è semplice. Non servono i geni, serve passione per il gioco».
Parola di Dino Zoff. Suo malgrado un monumento.