Corriere della Sera, 3 dicembre 2014
I libri italiani sono quarti negli Usa. Negli ultimi tre anni, pubblicati negli Stati Uniti 2.394 titoli da 58 lingue straniere. Al primo posto i testi in lingua francese, al secondo i tedeschi, al terzo gli spagnoli. Ma traduciamo poco
I numeri dell’editoria italiana tradotta all’estero, nella fattispecie negli Stati Uniti, sono una medaglia con due facce: il lato positivo è un discreto piazzamento in classifica rispetto agli altri Paesi; il lato negativo è l’incredibile esiguità del numero dei titoli tradotti. Con le osservazioni sul dato storico che se ne possono trarre, e anche qualche nota (per fortuna ottimistica) sul futuro.
L’editoria italiana negli Usa
Sono molto chiari i dati che emergono dall’indagine «L’Editoria Italiana negli USA – Analisi e prospettive» condotta dall’ICE, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, che verrà presentata e discussa venerdì alla fiera della piccola e media editoria «Più libri Più liberi» di Roma. Innanzitutto, ecco secondo l’indagine il numero totale dei libri tradotti per la prima volta (escluse cioè ristampe o nuove traduzioni dei classici) negli Stati Uniti: tra il 2012 e il 2014 sono stati pubblicati 2.394 libri tradotti da 58 lingue straniere e provenienti da 103 Paesi diversi. Il dato positivo per l’editoria nostrana è che la lingua italiana è al quarto posto nella classifica, che vede al primo posto i libri in lingua francese, al secondo i titoli tedeschi, al terzo gli spagnoli, e al quinto i giapponesi (e siamo al terzo posto per Paese d’origine).
Meno positivo è il dato numerico: se i libri in francese tradotti negli Usa sono 539 (in tre anni), i tedeschi 385 e gli spagnoli 253, i testi tradotti dall’italiano negli Usa ammontano soltanto a 174 (come mostra il grafico in questa pagina). Non solo si tratta di piccoli numeri, per un triennio, ma l’impressione è quella di una performance abbastanza scarsa proprio rispetto ai nostri cugini europei: la traduzione negli States dei libri dal francese – la lingua più simile alla nostra tra quelle che non appartengono al continente americano – è maggiore di oltre tre volte rispetto alla traduzione dei titoli italiani. Centosettantaquattro titoli in tre anni, dunque: e l’indagine Ice specifica che sono stati 67 titoli nel 2012, 62 nel 2013 e 45 nel 2014 (fino a settembre). Di questi, il 50% è costituito da romanzi, il 36% da saggistica, l’8% dalla poesia e il 6% dai libri per bambini.
Le vendite in copie
Analizzando i dati di vendita di Nielsen BookScan, l’indagine riferisce inoltre che per i francesi si ha una media di vendita negli Usa di 643 unità per ogni titolo (escluso La verità sul caso Harry Quebert, con 31 mila copie vendute), i tedeschi hanno una media di 375 copie per ogni titolo, mentre gli italiani raggiungono solo la media di 339 unità vendute. Anzi, un solo libro italiano quest’anno ha venduto più di 600 copie finora, precisamente 653, ed è Il maestro di nodi di Massimo Carlotto, pubblicato da Edizioni E/O in Italia (Europa Editions negli Stati Uniti). Per continuare il confronto con i colleghi d’Oltralpe, sono quattro i libri francesi che hanno superato le 600 copie: 1914 di Jean Echenoz (1.629), La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dicker (31.672), Il Demone Bianco di Bernard Minier (810) e Hotelles di Emma Mars (748). Per intendersi, anche per gli altri Paesi si tratta di cifre assai piccole per un mercato vasto come gli Stati Uniti (secondo le statistiche solo il 3 % dei libri editi negli Usa è tradotto da lingue straniere); ma il dato italiano ci pare ridotto. Tra i motivi indicati per un risultato di così poco peso, l’indagine rintraccia ad esempio – citiamo testualmente – «la mancanza di finanziamenti adeguati a sostegno della letteratura italiana», mentre i francesi e tedeschi vantano una maggior incidenza di incentivi alla traduzione.
Le potenzialità per il futuro
In ogni caso, la presenza in un mercato come quello americano non lascia indifferenti. Afferma infatti il presidente di Ice, Riccardo M. Monti: «La ricerca evidenzia l’esistenza di un volume significativo di opere italiane tradotte e pubblicate in lingua inglese. Esistono però potenzialità enormi e margini di opportunità ancora da cogliere. È necessario concentrare il marketing nei confronti dei key publisher che acquistano diritti d’autore dall’estero e che spesso detengono quote elevate nel mercato editoriale Usa delle opere tradotte». Accanto alle potenzialità, Monti fa notare un altro aspetto messo in luce dalla ricerca, e cioè che tra i principali editori tradotti all’estero, oltre a grandi gruppi, sono presenti anche i piccoli editori: «La ricerca conferma che uno dei canali più interessanti in termini di potenziale e dinamismo è quello della piccola e media editoria. Un canale che ha grandi margini di miglioramento se si interviene sulla divulgazione di maggiori informazioni sull’offerta italiana nei confronti degli editori americani».
I piccoli editori all’estero
Quanto all’opportunità per il futuro, commenta Marco Polillo, presidente di Aie, Associazione Italiana Editori: «Si tratta di un dato storico. Alcune delle considerazioni finali dell’indagine Ice sono da condividere: mentre altri Paesi si danno da fare per gli incentivi alla traduzione, in Italia si fa ancora troppo poco. Eppure il mercato è potenzialmente molto aperto, anche perché esiste un atteggiamento di simpatia nei confronti dell’italiano e della sua valenza culturale». E tra le iniziative Aie, ricorda gli stand collettivi alle fiere straniere, i workshop che si svolgono alla fiera romana e la presenza di editori e di reporter stranieri. Auspicando una crescente importanza del web per iniziative che possano sostenere il libro italiano (cita l’esempio di Fondazione Mondadori, con varie iniziative online).
Intanto, un elemento che mostra l’interesse degli editori italiani per l’estero, c’è. Emerge dal «Rapporto sulla piccola e media editoria» che Aie presenterà domani in fiera e di cui anticipiamo un dato: tra il 2011 e il 2014, su 220 piccoli e medi editori (tra 10 e 60 titoli l’anno), la vendita all’estero è cresciuta del 96,2 per cento. «Significa – conclude l’editore – che i piccoli nascono già con una vocazione più internazionale».