la Repubblica, 3 dicembre 2014
L’acciaieria Lucchini di Piombino finisce in mano agli algerini di Cevital. L’operazione prevede investimenti di circa 400 milioni di euro e il rilancio della produzione attraverso la realizzazione di due forni elettrici con prospettive, a regime, di pieno riutilizzo del personale
Dei tre grandi casi della siderurgia italiana, uno ha trovato soluzione, l’altro è vicino a trovarla, per il terzo – il più difficile – c’è uno schema tutto da definire. La Lucchini di Piombino, l’Ast di Terni e l’Ilva di Taranto, i tre grandi assi dell’acciaio italiano, sono da mesi al centro di lunghe e molto complesse vertenze.
Da ieri Piombino è un caso risolto: il ministero dello Sviluppo economico ha dato il via libera alla cessione della Lucchini al gruppo algerino Cevital. L’operazione prevede investimenti di circa 400 milioni di euro e il rilancio della produzione attraverso la realizzazione di due forni elettrici con prospettive, a regime, di pieno riutilizzo del personale. Fin da subito, comunque Cevital – gruppo algerino che spazia dall’agroalimentare, all’industriale al vetro – assumerà alle proprie dipendenze 1.860 lavoratori. Plaude il premier Renzi che, proprio da Algeri, parla di «proposta importante che segnerà un ottimo passo in avanti nelle relazioni tra i nostri Paesi». «Relazioni strategiche» ha precisato. Plaude anche il leader della Fiom Landini a quello che considera «un signor piano industriale» chiedendo ora chiede che «il governo apra un tavolo per il rilancio del settore siderurgico». Per gli Acciai speciali di Terni la trattativa, ieri notte, era ben avviata, ma non scontata. In quella che fin da subito si è prospettata come un’ennesima maratona, il punto di svolta è sembrato a portata di mano: il nuovo incontro al ministero dello Sviluppo economico con i sindacati e l’amministratore delegato Lucia Morselli si è protratto per tutta la notte. Discussioni ad oltranza al tavolo con il ministro Federica Guidi, con l’obiettivo di andare a chiudere la vertenza sul sito di proprietà di Thyssen Krupp.
Il macigno più grosso, quello sui licenziamenti, è stato dribblato. L’azienda ne aveva previsti 290 e 290 (più una riserva di sei) sono stati i lavoratori che hanno accettato l’uscita incentivata (fino a 80 mila euro lordi). Superato anche il grande ostacolo del secondo forno, che l’azienda voleva chiudere: resterà attivo. A tarda notte l’accordo era però ancora da trovare su due punti fondamentali: la clausola di salvaguardia per proteggere i posti di lavoro delle ditte terze e la partita degli incentivi salariali, sui quali – in particolare sulla indennità festiva – le posizioni fra sindacati e azienda restano distanti. «C’è tutta la miglior intenzione di arrivare all’intesa – commentava Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl – faremo di tutto per chiudere, ma per raggiungere l’obiettivo devono essere superate alcune rigidità aziendali». Appena poche ore prima, infatti, il clima al tavolo si era nuovamente raggelato dopo la richiesta, fatta dalla Morselli, di mettere in cassa integrazione 400 operai per due anni per far fronte alla perdita di commesse e di lavoro seguite ai 35 giorni di sciopero. Richiesta respinta dai sindacati «se ce ne sarà bisogno, eventuali cali di produzione possono essere coperti con la cassa integrazione ordinaria» era stata l’univoca risposta. Epilogo vicino, comunque, per una vertenza molto lunga e che negli ultimi mesi ha conosciuto momenti di alto nervosismo (dai blocchi stradali agli scontri fra operai e polizia).
Da Piombino, a Terni, a Taranto: qui la partita (la più difficile visto che riguarda 12 mila dipendenti e il bilancio accusa milioni di euro in rosso al mese) è invece del tutto aperta, pur in presenza di un intervento governativo annunciato dallo stesso Renzi. L’Ilva infatti, dopo un passaggio normativo da inserir probabilmente nella legge di Stabilità, dovrebbe passare in amministrazione straordinaria prevista dalla legge Marzano. Da lì risanata (un’ipotesi è quella di utilizzare i fondi della Bei) e ceduta al mercato o divisa in new e bad company. Allo studio c’è anche un possibile intervento attraverso la Cassa depositi e prestiti. Diverse ipotesi: ma il caso, sul quale pesa anche una complessa questione giudiziaria, è ancora da risolvere.