Corriere della Sera, 3 dicembre 2014
L’Italia sommersa dalla multe dalle quote latte ai rifiuti. Bruxelles potrebbe infliggere una sanzione di 800 milioni di euro per le infrazioni all’obbligo di depurare gli scarichi, e «per evitarla ci sono almeno 820 cantieri da aprire». Si fa fatica a capire le ragioni per cui ci mostriamo così refrattari a rispettare le numerosissime regole che noi stessi ci siamo dati, tanto da essere insieme il Paese con più leggi e con il più alto tasso di illegalità
Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti dice che non pagheremo un euro perché la faccenda delle discariche abusive per cui la Corte di giustizia ci ha appioppato una multa salatissima è acqua passata. Sano ottimismo. Non possiamo però non ricordare come 25 giorni fa il medesimo Galletti, dopo quell’altra sentenza con cui la stessa Corte ha revocato i fondi europei alla Campania per i danni alla salute umana provocati dai rifiuti, avvertiva che «pende sull’Italia il rischio di una nuova procedura d’infrazione proprio sul ciclo dei rifiuti in Campania che costringerebbe il nostro Paese a pagare multe per 228 milioni di euro».
In che modo possano risultare compatibili le due posizioni è francamente incomprensibile. Indagini svolte proprio in Campania hanno portato all’individuazione di oltre 2.500 discariche abusive solo in quella Regione, prevalentemente fra Napoli e Caserta, dove si sono registrati aumenti spaventosi dell’incidenza di gravi malattie. La verità è che la situazione dei rifiuti in Italia, e soprattutto al Sud, è disastrosa. Se ne conoscono anche le ragioni: dalle incapacità degli amministratori all’incoscienza di certa politica, agli enormi interessi che girano intorno a un affare nel quale la criminalità organizzata mantiene una solida presa. E meno male che c’è l’Europa a ricordarcelo. Anche se poi siamo bravissimi a dimenticare subito le tirate d’orecchie di Bruxelles. Vale per l’immondizia, e per tutto il resto.
Un caso? A maggio il capo missione di Palazzo Chigi Erasmo D’Angelis ha dichiarato che Bruxelles potrebbe infliggere all’Italia una sanzione di 800 milioni di euro per le infrazioni all’obbligo di depurare gli scarichi, aggiungendo che «per evitarla ci sono almeno 820 cantieri da aprire». In Calabria, su 185 interventi programmati i cantieri aperti ad agosto erano cinque. In Campania, quattro su 97.
Altro caso: le quote latte. Nonostante gli allevatori protestino da anni sostenendo che le multe non sono dovute perché non ci sarebbe stato alcun eccesso di produzione rispetto ai livelli imposti dall’Europa, esiste una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. La ragione? Nonostante sia previsto per legge, lo Stato non si fa rimborsare dai produttori i soldi che i contribuenti italiani hanno dovuto pagare all’Unione Europea per le multe. Bruxelles parla di un miliardo e 395 milioni. Ma leggete che cosa sostiene un documento appena sfornato dalla Corte dei conti: «La conseguenza finanziaria della cattiva gestione trentennale delle quote latte si è tradotta in un esborso complessivo di oltre 4,4 miliardi di euro. Per il periodo precedente al 1995/1996 l’onere si è scaricato interamente sull’erario». Resterebbero da incassare «nei confronti degli allevatori» somme «già anticipate all’Unione a carico della fiscalità generale» per 2 miliardi 263 milioni. «Di questa cifra il recuperato effettivo è trascurabile».
Trascurabile: proprio così c’è scritto. Ma di chi è la colpa? Di una burocrazia inefficiente? Della superficialità di qualche dirigente? Di regole fatte male? Il sospetto è che sia una dimenticanza politicamente motivata.
Magari qualche allevatore avrà anche ragione a non voler pagare, ma la legge è legge. E a Bruxelles fanno fatica a capire le ragioni per cui ci mostriamo così refrattari a rispettare le numerosissime regole che noi stessi ci diamo, tanto da essere insieme il Paese con più leggi e con il più alto tasso di illegalità.
Difficile dunque stupirsi se incombono ancora sulle nostre teste 94 (novantaquattro) procedure d’infrazione. Una delle quali, quella sui ritardi nei pagamenti pubblici a imprese e fornitori, aperta addirittura la scorsa estate nei confronti dell’Italia da un commissario italiano in procinto di lasciare l’incarico: Antonio Tajani, peraltro esponente di spicco di un partito (Forza Italia) che ha governato per nove anni fra il 2001 e il 2011, periodo in cui quei debiti delle pubbliche amministrazioni crescevano come la panna montata.
Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue sul contrasto alle frodi comunitarie, l’Italia ha confermato nel periodo 2011-2012 anche il poco edificante record delle truffe. Ne sono state scoperte 109, più del doppio delle 51 registrate in Germania. E pure qui il piatto piange. Per la Corte dei conti lo Stato italiano avrebbe dovuto recuperare nei dieci anni compresi fra il 2003 e il 2012 dai beneficiari di contributi comunitari indebiti per frodi e irregolarità varie una somma pari a un miliardo 124 milioni. Non riuscendo a incassare però che alcune briciole. Soltanto in Campania e Sicilia, e limitatamente all’agricoltura, sono venute alla luce 839 frodi per un ammontare di 191,2 milioni. Di questi, ne sono stati recuperati appena 12,4: il 6,5 per cento.
Il risultato è che il conto viene presentato come al solito ai contribuenti. Già il 3 ottobre del 2006 l’Italia si era beccata una condanna a versare nelle casse comunitarie 310,8 milioni di euro, con la pesante motivazione di non aver «agito con la rapidità e la diligenza necessarie nell’azione di recupero di aiuti indebitamente pagati».