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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

Benjamin Netanyahu manda via Tzipi Livni e Yair Lapid, i due ministri moderati nella coalizione di destra con l’accusa aver tentato «un golpe da dentro al governo» e chiede le elezioni anticipate. Ora il premier sempre più vicino alla destra oltranzista. Intanto a Parigi il Parlamento riconosce la Palestina

 Le prime parole sono di elogio per il suo governo. Quello precedente. Non quello che ha smembrato da poche ore con le lettere di licenziamento indirizzate a Tzipi Livni e Yair Lapid, i due ministri moderati nella coalizione di destra. Benjamin Netanyahu parla agli israeliani in diretta tv per sostenere che «così non si poteva più andare avanti, era impossibile guidare il Paese, garantirne la sicurezza». 
Il terzo mandato del premier che sta totalizzando più anni al potere nella storia di Israele – superato solo dal padre fondatore David Ben-Gurion – è durato meno di 21 mesi. Netanyahu promette elezioni in tempi brevi (le prime date possibili per legge sono tra gli inizi e la metà di marzo), la campagna è già cominciata: il primo ministro accusa Livni e Lapid di aver tentato «un golpe da dentro al governo», Lapid gli risponde che la crisi è una «mossa irresponsabile e da vigliacco». 
I sondaggi immediati delle tv danno vincente il Likud e il blocco conservatore. Netanyahu potrebbe formare il governo che già sperava nel 2013 e ritrovare i suoi alleati più naturali, le formazioni ultraortodosse. Con lui resterebbero gli oltranzisti Naftali Bennett (alla guida del partito dei coloni, dato in crescita) e Avigdor Liberman, il ministro degli Esteri di origine moldava. Nei prossimi tre mesi e mezzo i leader si scontreranno sugli stessi temi che in queste settimane hanno eroso il poco mastice che teneva ancora insieme la coalizione: la legge sull’identità nazionale ebraica, sostenuta dall’estrema destra e considerata da Livni e Lapid poco democratica e razzista; l’economia che rallenta (Netanyahu ne dà la colpa a Lapid perché non avrebbe saputo gestire le Finanze); le possibilità di un accordo di pace con i palestinesi. 
Livni, incaricata dei negoziati fino a quando non sono saltati in aprile, considera il presidente Abu Mazen un interlocutore affidabile. Netanyahu-Bennett-Liberman lo accusano invece di incitare gli attacchi terroristici. Una loro vittoria renderebbe improbabile la riapertura delle trattative e spingerebbe i Paesi europei ad aumentare la pressione su Israele: ieri il Parlamento francese ha votato una mozione – non vincolante per il governo – che riconosce la Palestina come Stato, decisioni simili sono già state prese in Gran Bretagna, Spagna, Irlanda, Svezia. 
Lapid ha rappresentato la sorpresa delle ultime elezioni, dei 19 seggi conquistati ne perderebbe 8 secondo i sondaggi, la classe media che lo ha votato sarebbe delusa: il costo della vita non è sceso, le disuguaglianze sociali sono cresciute. Il suo partito è più debole, così i laburisti sperano di convincerlo a formare un blocco di centro-sinistra. La scomessa di Netanyahu sembrerebbe già vinta, gli analisti ricordano però il 1999: anche allora Bibi, il soprannome del primo ministro, aveva deciso di dissolvere una coalizione difficile da controllare per poi perdere contro Ehud Barak, leader laburista.