Corriere della Sera, 3 dicembre 2014
Anche Mario Draghi fa i conti con il crollo del petrolio. Ma Michael Heise, economista capo del gruppo tedesco Allianz, lo invita a rilassarsi un po’ e a non strafare
C’è un nuovo dossier sul tavolo della Banca centrale europea. Complica le cose. Riguarda il prezzo del petrolio in caduta: quanto influisce sul calo dell’inflazione nell’Eurozona? La questione è seria e sta diventando un elemento di confronto sulla politica monetaria. Riassumendo: si tratta di stabilire se la discesa dell’inflazione e dunque il rischio di deflazione siano generati più dal declino del costo del barile – che ha effetti positivi sulle economie e non dovrebbe preoccupare – oppure dalla debolezza della domanda aggregata – circostanza che farebbe correre il pericolo di una deflazione prolungata e difficile da estirpare. È evidente che, a seconda della risposta, le scelte di politica monetaria e l’urgenza con la quale intervenire sono diverse. È anche evidente, però, che in questo momento nessuno ha risposte definitive e indiscutibili. Risultato: il prezzo del petrolio in caduta è diventato un argomento di discussione e di divisione nella Bce e sarà probabilmente uno degli elementi di confronto nella riunione del Consiglio dei governatori di domani a Francoforte. Già ieri, il presidente della banca Mario Draghi è stato invitato (sulle colonne del Wall Street Journal ) a rilassarsi un po’ e a non strafare da un peso non indifferente dell’establishment finanziario europeo, Michael Heise, economista capo del gruppo tedesco Allianz. La riunione di domani e la successiva conferenza stampa di Draghi diranno quanta concordia di analisi ci sia tra i governatori: per ora si sa che alcuni vorrebbero incrementare l’intervento della Bce sui mercati anche comprando titoli degli Stati dell’euro mentre altri si oppongono. Differenze acute anche se forse non insuperabili.
Nelle settimane scorse, Draghi ha indicato la necessità i fare crescere l’inflazione nell’Eurozona, oggi allo 0,3%, «senza rinvii». Il suo vice, Vitor Constâncio, ha lasciato intendere che la Bce potrebbe agire in quella direzione in gennaio, decidendo di comprare titoli degli Stati (il cosiddetto Quantitative Easing a 360 gradi). Le misure prese finora – tassi a zero, garanzia che resteranno tali a lungo, grandi offerte di liquidità alle banche e acquisto di certi tipi di titoli emessi da privati – non sembra stiano dando gli effetti desiderati: non solo l’inflazione continua a scendere (l’obiettivo della Bce è un tasso inferiore ma vicino al 2%) ma anche gli acquisti di titoli per ora sono modesti, in tutto poco più di 18 miliardi alla fine della settimana scorsa. Quest’ultimo aspetto preoccupa.
Draghi ha esplicitato che l’obiettivo è fare salire le attività della Bce di mille miliardi (in sostanza la liquidità da immettere nel sistema economico): 18 miliardi sono piccola cosa rispetto ai mille (che, in più, potrebbero diventare 1.300 se nei primi mesi dell’anno prossimo le banche europee ne restituiranno alla Bce 300 per prestiti in scadenza). Per questo, sui mercati si pensa che Francoforte inizi presto a comprare titoli di Stato in quantità, cioè a creare moneta per fare salire l’inflazione e stimolare l’economia.
Chi si oppone a questi acquisti – soprattutto la banca centrale della Germania (Bundesbank), molti tedeschi, ma anche altri in Europa – ritiene che una scelta del genere sarebbe pericolosa e distorcerebbe l’andamento dei mercati creando bolle.
In più, ora mette in campo l’argomento del crollo del prezzo del petrolio (da 120 dollari nel 2011 a meno di 70 oggi) per dire che l’inflazione è scesa soprattutto per i minori costi energetici e che quindi i rischi di deflazione sono bassi. «La Bce non dovrebbe essere ingiustificatamente preoccupata per le aspettative di bassa inflazione», sostiene Heise di Allianz. È il gran ritorno del greggio nell’economia.