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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

Riccardo Muti al Quirinale? Ecco perché non è possibile. A Palazzo la bacchetta non basta. Il Maestro, già bollato come artista di centro-destra, non è uno che vuol piacere a tutti. E poi quel ruolo ormai è diventato troppo politico

Riccardo Muti capo dello Stato: non è una cosa seria, ma potrebbe anche diventarlo. Il Fatto Quotidiano ha sparato in prima pagina «Riccardo Muti al Quirinale» e si è affidato ciecamente alle parole di Domenico Muti, terzogenito del maestro e ufficialmente «vicepresidente dell’esclusivo Circolo ravennate dei forestieri». Il rampollo aveva detto che trattavasi di «proposta seria» ma non è vero, o meglio: non è più seria e impalpabile di tutte le altre volte in cui Muti è stato gettato nell’agone politico per fare un po’ di casino.
Ieri Matteo Renzi ha smentito di aver mai telefonato a Muti (o a chicchessia) e quindi ci troveremmo di fronte al classico nulla in cui le pagine politiche sguazzano felicemente: se non fosse che la tentazione di proporre un Muti al Quirinale, spesso, rispunta più come genere che come nome; il genere, cioè, del “papa straniero”, il Renzo Piano della situazione, la figura che rappresenti l’Italia nel mondo. Da qui la domanda: è ciò che serve?
Vediamo. La caratura artistica di Muti non è in discussione, anche se la fama mondiale del maestro non è quella che molti credono. È un personaggio, beninteso, con la P maiuscola: realmente colto, dotato di un eloquio magnifico, uomo di presenza e di carisma, forse il miglior ambasciatore che la vera cultura italiana abbia avuto da tempo.
Il punto è che il Quirinale non è un’ambasciata. Il punto è che la politica italiana non è solo un complicato gioco di codici e di etichette che si possa comandare a bacchetta e con la bacchetta. Non facciamo che ripeterlo tutti, sempre: il ruolo del Capo dello Stato è cambiato, forse è la funzione che più necessita di un politico vero e che della politica mantenga il sacrosanto primato.
Corre voce che Matteo Renzi vorrebbe riportare il presidente della Repubblica al suo alveo notarile, poco ingombrante, un arbitro fuori campo: magari il solito outsider della società civile, magari addirittura una donna. Se è così, restando in campo musicale, l’ideale sarebbe un Andrea Bocelli: per molte ragioni, ma in primis perché non è un politico. Allo stesso modo il difetto di Muti diverrebbe un requisito: perché non è un politico. L’idea di candidarlo, paradossalmente, forse poteva andare bene quando sarebbe stato impossibile, cioè nella Prima Repubblica: quando, cioè, era importante che un capo dello Stato apparisse discreto e non dividesse troppo, dedito a metaforizzare discorsi e celebrazioni.
Il dettaglio aggiuntivo è che Riccardo Muti, diversamente da quanto si scrive, non è mai stato quel personaggio super partes che piace a tutti e che non è di destra né di sinistra: questo lo pensa solo chi non lo conosce o chi non lo ricorda nelle sue esternazioni. È un personaggio che divide, come tutti i veri personaggi.
Anche in campo musicale il maestro è sempre stato connotato, come ben ricorda la sinistra “abbadiana” che lo vide arrivare alla Scala nel 1986 con il teorico appoggio della Dc e del Psi, in contrapposizione a Claudio Abbado che era protetto dal Pci. Queste bollature (magari forzate) non impedirono a Muti di essere identificato come artista di centro-destra. Il disimpegno intellettuale di Muti è coinciso con un disimpegno dalla sinistra dei Renato Pollini e dei Luigi Nono (perciò sacrosanto) ma negli anni è restato fondamentalmente un disimpegno e basta, a tratti venato di antipolitica borghese con tratti snobistici. Nella prima metà degli anni Novanta aveva tuonato contro il «dimunendo culturale totale» dei Pippibaudi e degli Sgarbi (quest’ultimo poi divenuto suo amico e sostenitore) e quando Walter Veltroni parlò di sovvenzioni per la musica, Muti rispose: «Non l’ho mai incontrato, e non sono certo io a dover battere alle porte».
Altre polemiche toccarono la ministra Giovanna Melandri che si era sottratta alla Prima wagneriana del 1998, senza contare il diniego di Muti al capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, che alla Scala (1999) gli aveva chiesto di eseguire l’inno nazionale: episodio che molti hanno rimosso. Muti, ora, si troverebbe dall’altra parte della vetrina.