La Stampa, 3 dicembre 2014
L’ultimo cammino di Peter Jackson. Dopo 16 anni con gli Hobbit esce La Battaglia delle cinque armate. E adesso? «Non ho più addosso il peso di tante responsabilità, posso finalmente andarmene al mare... Adesso la palla passa al pubblico»
Tutta l’enfasi del gran finale, lo scintillio della prima londinese, con le pattuglie di fan che piantonano da ore, sotto la pioggia, l’hotel dove risiede il cast e il regista, s’infrangono sulla prosa semplice e stringata con cui Peter Jackson, l’uomo che ha portato al cinema la saga del Signore degli anelli, commenta l’impresa che lo ha tenuto impegnato per quasi 16 anni: «Per la prima volta, da quando abbiamo iniziato a lavorare ai film della serie Hobbit, quasi sette anni fa, il senso di qualcosa che sta per chiudersi si è impadronito di me. Forse perché, come Bilbo Baggins dice a Gandalf, “questo è l’ultimo cammino”. È stato un incredibile onore per tutti noi poterlo compiere, ma adesso tutto appartiene agli spettatori, cioè a quelli per cui lo abbiamo realizzato».
«L’ultimo cammino»
A tredici anni dall’uscita del primo capitolo della serie La compagnia dell’anello, dopo cinque miliardi di incassi, 17 Oscar, 36 nomination, arriva nelle sale (il 17 con Warner in 2 e 3D e Dmax) Lo Hobbit – La Battaglia delle cinque armate, il più epico e affascinante dei racconti dedicati a Bilbo e compagni: «Come mi sento? – risponde Jackson a chi cerca di scavare nel suo stato d’animo – bè, non ho più addosso il peso di tante responsabilità, posso finalmente andarmene al mare... Ogni film è stato impegnativo, sai sempre che lavori spendendo soldi di altri, così ho cercato di portare più gente possibile al cinema, adesso la palla passa al pubblico». Un esercito agguerrito pronto a vedere, e a valutare se, anche stavolta, Jackson è riuscito a rendere al meglio l’universo creato da J.R.R. Tolkien: «La saga è diventata un classico che va oltre le generazioni, ci sono ragazzi cresciuti vedendola e altri che, all’inizio, erano troppo giovani e adesso vi si avvicineranno... Quando ho girato i tre capitoli del Signore degli anelli, avvertivo intorno a me una forte pressione, era un enorme progetto, mai realizzato prima. Poi quei film hanno fatto il giro del mondo ed è iniziata la serie Hobbit che comportava altre aspettative. Per quanto mi riguarda, ho seguito sempre la stessa regola, ho diretto film che mi sarebbe piaciuto andare a vedere, da appassionato di cinema».
Intorno al regista è schierata l’intera squadra degli interpreti, da Martin Freeman (Bilbo) a Richard Armitage (Thorin), da Luke Evans (Bard) a Evangeline Lilly (Tauriel), da Orlando Bloom (Legolas) al magnifico, ineffabile Ian McKellen che, nelle vesti di Gandalf il Grigio sembra essersi divertito un mondo: «Questa serie ha rappresentato una fetta importantissima della mia vita, per i luoghi lontani dove mi sono ritrovato, per gli amici che mi sono fatto, per la bellezza del racconto in cui mi sono immerso. Peter non ha semplicemente creato un marchio di successo, è riuscito, invece, a dare corpo a un immaginario ricco e complesso... E poi è stato bello incontrare persone che sono venute a dirmi che cosa rappresenta Gandalf per loro, e vedere adesso ragazzini, all’epoca del primo film non ancora nati, che attendono con ansia l’uscita di quest’ultimo. Alla fine ho dovuto accettare che Gandalf esiste, che è insieme un’invenzione e una persona».
Una storia universale
Assente, all’anteprima londinese, la diva Cate Blanchett che, per tornare ad essere Galadriel (nel film in uscita ha un ruolo importante e bellissimo), ha confessato di aver tormentato il regista: «Nel libro Galadriel non c’è, ma io continuavo a sperare imperterrita, ero pronta a tutto, così quando mi hanno comunicato che sì, Galadriel sarebbe tornata sullo schermo, mi sono sentita al settimo cielo». Con lei, nella
Battaglia delle cinque armate, tutti danno di nuovo il meglio, il drago Smaug con la voce di Benedict Cumberbatch, l’iroso Thorin che non riesce, fino alla conclusione, a liberarsi dai demoni che lo hanno allontanato dal vecchio amico Bilbo, l’arciere Bard che «all’inizio era solo un vedovo con tre figli di cui prendersi cura e stavolta è diventato un eroe», l’elfo silvano Tauriel, unica presenza femminile di rilievo, insieme a quella di Galadriel, creata apposta per lo schermo, il biondo Legolas che comprende il suo dolore e i suoi pensieri, e vorrebbe aiutarla, il candido Saruman (Christopher Lee) di cui Jackson ha detto che è l’unico attore capace di recitare con le sopracciglia.
Con tutti loro, protagonisti fondamentali, il paesaggio desolato e affascinante della Nuova Zelanda, i ponti sospesi nelle foreste, le scalinate rocciose che si disfano mentre vengono percorse, la città acquatica di Dale, la pietra luminosa Arkengemma, i terribili orchi, armati, soprattutto, della loro bruttezza: «È una storia universale – ha dichiarato Jackson – che parla di un popolo defraudato che deve sopportare tante avversità per tentare di riprendersi la propria terra. Ma anche dell’avidità, mista a follia, che si impadronisce di chi desidera troppo intensamente qualcosa».