il Giornale, 3 dicembre 2014
L’accusa tira fuori tre nuove prove contro Stasi per il delitto Poggi: un palmo insanguinato, la posizione del viso di Chiara e l’auto di Alberto. Ma perché spuntano solo dopo sette anni?
L’impronta netta del palmo di una mano insanguinato. Un volto di ragazza coperto di sangue fino a renderlo irriconoscibile. Una perizia sbagliata. Tre nuove prove che per l’accusa inchiodano Alberto Stasi alle sue responsabilità, e che lo indicano aldilà di ogni dubbio come l’assassino di Chiara Poggi, ammazzata nella sua casa di Garlasco il 13 agosto 2007. Oggi, penultima udienza del processo a Stasi, la parola tocca ai suoi difensori. Ma il procuratore generale Laura Barbaini non ha considerato chiuso il suo compito con la requisitoria del 25 novembre e la richiesta di trent’anni di carcere per il fidanzato della ragazza uccisa. In questi giorni ha continuato a leggere, scavare, scrivere. E questa mattina i giudici e i giurati riceveranno le tre nuove memorie d’accusa. Comunque vada a finire resterà senza risposta la domanda sul perché tutto questo sia stato fatto solo ora e non sette anni fa.
Non ha lavorato solo per incastrare Alberto, la dottoressa Barbaini. Ha frugato anche sulle piste alternative – che sono sempre esistite – dando la caccia alla vecchia bici di un cugino di Chiara, lambito dalle indagini: alla fine la bici è stata trovata, a Napoli, ma non corrisponde all’identikit di quella dell’assassino; e comunque per l’ora del delitto, per come l’hanno fissata le ultime perizie, il cugino ha un alibi, che è stato verificato di nuovo, e ha retto. Così, oggi come sette anni fa, l’unico colpevole possibile per la pubblica accusa resta il bocconiano dagli occhi celesti. Non c’è una prova regina che lo accusi, ma il quadro di insieme per il pg è inequivocabile.
La prima memoria riguarda le perizie sulla Golf di Stasi: se i fatti fossero andati come racconta lui, dice in sostanza la Procura, il giovanotto avrebbe inevitabilmente macchiato di sangue il tappetino della Golf nel viaggio verso la caserma dei carabinieri. La seconda aggiunge un nuovo, impressionante dettaglio alla scena del crimine: sul pigiama di Chiara non c’erano solo le impronte digitali dell’assassino, ma anche il palmo della sua mano, lasciato impresso quando la povera ragazza venne trascinata lungo le scale di casa. La sentenza di primo grado ipotizzava che l’assassino potesse non essersi sporcato le mani, e non dava quindi importanza alle impronte di Stasi trovate sul dispenser del sapone nel bagno. Le impronte digitali e il segno della mano scoperti dalla Barbaini smontano questa tesi: l’assassino dovette lavarsi. «Essendo Chiara il principale fruitore del bagno ci si aspetterebbe di rinvenire le impronte di Chiara in numero consistente e pochi contati relativi a Stasi che è invece fruitore occasionale. L’assenza di impronte di Chiara Poggi e la presenza del Dna della stessa sul dispenser conducono inevitabilmente alla conclusone che il dispenser sia stato oggetto di un’opera di pulizia da parte dell’assassino. Ma a questo punto non è più giustificabile che siano rimaste le due impronte di Stasi e non le impronte di Chiara e neppure le impronte di un ipotetico assassino diverso da Stasi se non individuando l’assassino in Stasi, cioè proprio in colui che per ultimo ha toccato il dispenser e vi ha lasciato le due impronte dell’anulare destro dopo aver lavato via le precedenti».
La terza memoria d’accusa, corredata da foto terribili, è forse la più pesante. Perché mostra la scena del delitto in due versioni. Una, crudamente illuminata dai flash. L’altra, alla luce naturale, come sarebbe apparsa a Stasi se davvero fosse arrivato in casa di Chiara all’ora di pranzo. Nell’immagine senza flash, il volto della ragazza è poco più che una macchia scura, coperta quasi per intero dal sangue colato dalle ferite. Eppure Stasi nelle sue prime dichiarazioni ai carabineri disse: «La parte destra non era coperta da sangue né tantomeno da capelli, anzi preciso che constatavo il colore nitido della sua pelle che era chiaro». La spiegazione per il pg è una sola: «Nell’immediatezza della caduta, nella prima mattinata, la parte destra del volto era pulita ed integralmente visibile, come viene descritta da Stasi». Stasi, insomma, sta descrivendo la scena non delle 13 ma quella di molte ore prima. Quando aveva appena ucciso Chiara.