il Giornale, 3 dicembre 2014
Ecco perché Berlusconi era scomodo: lo stop al gasdotto South Stream è il trionfo degli Stati Uniti. E a pagare sarà l’Unione Europea. L’intrigo che ha cambiato la storia energetica mondiale
L’annuncio l’ha dato Vladimir Putin ad Ankara, i dettagli sono venuti poco più tardi dai vertici di Gazprom: la Russia abbandona South Stream, il gasdotto che doveva legare l’Europa ai giacimenti della Siberia. Dietro quelle parole c’è una guerra lunga dieci anni, uno scontro violento tra Cremlino e Casa Bianca combattuto anche in Italia ed è cominciato nel 2007, dopo un incontro fra gli uomini di Eni e i colleghi di Gazprom.
Giugno è quasi terminato, il caldo è torrido, da Mosca arriva un ministro di nome Viktor Khristenko: è liberale, è stato premier in passato, Putin lo ha scelto per tenere sotto controllo la prima industria del paese, quella dell’energia. A Roma lo riceve un ex comunista divenuto con il tempo socialdemocratico, si chiama Pierluigi Bersani e siede al ministero dello Sviluppo economico. Allora South Stream è soltanto una linea sulla mappa dell’Europa, una traccia disegnata con la penna che misura quattromila chilometri, dalla Russia del sud al confine delle Alpi. L’intento è chiaro, Italia, Francia e Germania chiedono alla Russia forniture regolari, la Russia propone un nuovo canale per le consegne – un canale che corre lontano dall’Ucraina, prima nel Mar Nero e poi tra i Balcani, sino all’Europa centrale. La firma dell’accordo con Bersani e Khristenko è la prima pietra del progetto. I mesi passano, i governi cambiano, ma i contatti con il Cremlino aumentano. In Europa i quotidiani cominciano a parlare di «Grande gioco dell’energia», un affare che coinvolge ministri, industriali e capi di governo: Gazprom insiste sull’investimento, Eni mantiene le quote, i francesi di Edf ottengono di entrare, bruciando sul tempo i rivali tedeschi. Gli Usa osservano il piano senza nascondere i sospetti, a Washington prende peso un partito che riconosce per tempo la vera questione: i soldi e il gas sono un problema relativo, un successo dei russi rischia di avvicinare il Cremlino ai governi europei, e le conseguenze sarebbero enormi per gli interessi americani. Da Bruxelles, diversi leader politici propongono un gasdotto alternativo: lo chiamano Nabucco, come l’opera di Verdi, ma l’idea fallisce prima di passare alla fase operativa.
L’Italia considera South Stream un punto strategico per la sicurezza nazionale, così il programma prosegue anche quando la guida del governo passa dal centrosinistra di Prodi al centrodestra di Berlusconi. Nel 2009 il Cavaliere vola ad Ankara per un nuovo accordo sul gasdotto che il presidente Putin firma assieme al turco Erdogan. I segnali dagli Stati Uniti sono sempre più duri e precisi: Barack Obama alza la pressione sui rapporti con la Russia; a Varsavia, Baku, Tbilisi e Kiev nascono centri di ricerca finanziati con i soldi americani che si occupano di difesa ed energia; i diplomatici in Europa scrivono migliaia di relazioni sui progressi di South Stream. Ci vuole un attivista dal passato oscuro, Julian Assange, per svelare all’opinione pubblica una parte di quei messaggi. Fra Putin e Berlusconi c’è un rapporto «straordinariamente stretto», dicono i cablogrammi partiti dall’ambasciata americana di Roma: «Per noi quel rapporto è la causa d’intensi sospetti». Gli scambi fra Russia e Italia sono un motivo di allarme il dipartimento di Stato, la controffensiva della diplomazia ha obiettivi espliciti: Silvio Berlusconi, le scelte del governo e le operazioni compiute da Eni. «Riteniamo che Berlusconi riconosca al capo dell’Eni un peso paragonabile a quello di un ministro – si legge in un altro messaggio – Il governo italiano ha sostenuto gli sforzi di Eni e di altri colossi energetici per ottenere un rapporto esclusivo con la Russia e Gazprom in vista di una cooperazione a lungo termine. Eni ha messo al centro degli interessi alcune realtà delicate sotto il profilo geopolitico, realtà che molti concorrenti considerano troppo rischiose». Il quotidiano Repubblica parte da quelle righe per una lunga inchiesta che punta verso gli accordi segreti (e mai scovati) fra Putin e Berlusconi. Il risultato è misero in termini di prove. È l’inizio di una campagna mediatica che supera i confini d’Italia e si rivela del tutto infondata quando arriva l’ora di dimostrare il teorema.
Ora la crisi in Ucraina e la guerra commerciale fra la Russia e l’occidente spingono Putin a lasciare il progetto. «Non ci sono le condizioni per costruire South Stream», ammette il capo del Cremlino. L’Ue dice che il gasdotto non è mai stato una priorità, Eni e Saipem non prevedono contraccolpi per i loro bilanci, persino il premier, Matteo Renzi, afferma che South Stream «non è fondamentale per l’Italia». Il tempo e il mercato dell’energia diranno se è vero. Il Grande gioco oggi premia gli Usa: stanno vincendo loro, anche a costo di rovesciare gli alleati.