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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

La recessione russa: il Pil scende dello 0,8%, il rublo crolla (49 per un dollaro invece di 37,7), la fuga dei capitali aumenta (90 miliardi di dollari contro i 50 previsti) e l’inflazione corre (al 7,5% invece del 5,5%). Questo lo scenario previsto per il 2015

«Recessione»: per la prima volta lo ammette anche il governo russo. La missione di dare la notizia negativa, dopo il lunedì nero del rublo, è stata affidata al viceministro per lo Sviluppo economico Alexey Vedev: per il 2015 si stima di una flessione del Pil dello 0,8%, addio alla vecchia previsione di crescere dell’1,2%. La revisione si deve al «calo dei prezzi del petrolio e alla svalutazione del rublo, che hanno prodotto effetti inflazionistici». Tutte le stime girano al peggio: il rublo nel 2015 ha una prospettiva di 49 per un dollaro (invece di 37,7), la fuga dei capitali accelera (90 miliardi di dollari contro i 50 previsti), l’inflazione corre (al 7,5% invece del 5,5%). E sono valutazioni ancora troppo prudenti, basate su un prezzo medio del barile tra 100 e 80 dollari: siamo già sotto i 70.
Il rublo ieri ha segnato un nuovo minimo storico (54 per un dollaro Usa), 2,78 punti in meno in un solo giorno, il 35% in meno dall’inizio dell’anno nonostante la Banca Centrale abbia speso quasi 100 miliardi per sostenere il cambio. Il ministero del Tesoro aggiunge un altro dato inquietante: si metterà mano al Fondo di riserva. «È già deciso, resta da capire quanto», dice l’alto responsabile del Tesoro Maxim Oreshkin, che non esclude di spendere più di 10 miliardi di dollari del “tesoretto” accumulato negli anni del superbarile. Sono già partiti ulteriori tagli al bilancio, e il Kommersant rivela che il governo ha deciso di non inviare alle regioni aiuti per adempiere ai “decreti di maggio”, aumenti di salari e welfare ai dipendenti pubblici varati da Putin nel 2012. 
Il tempo delle vacche grasse è finito, e mentre dalle province russe arrivano le prime notizie di tagli di stipendi a medici e insegnanti: anche Putin è costretto ad adeguarsi e ieri ha bloccato l’indicizzazione delle retribuzioni dei dipendenti del Cremlino. Che sono comunque cresciute del 18% quest’anno, contro la media nazionale del 6%. Le istituzioni internazionali già a gennaio davano la Russia intorno allo zero, e la recessione era stata pronosticata dall’allora ministro dell’Economia Andrey Belousov nel 2013: il motore della spesa pubblica basata sul petrolio si era esaurito, aveva detto, e la mancanza di riforme di un’economia monopolizzata, arretrata, corrotta e burocratizzata impediva un rilancio. 
Le sanzioni per l’Ucraina e il calo del greggio hanno solo accelerato il declino di un Paese che si scopre ancora una volta un emirato con la neve. E il trend è aggravato da quella che Konstantin Sonin, della Scuola superiore di economia di Mosca, chiama «una catena di errori politici», come le contro-sanzioni sugli alimentari occidentali: «Non avevano – dice- alcun senso economico e hanno colpito il consumatore nazionale molto più del produttore estero». La fine dell’era del barile d’oro mette a rischio anche il consenso sul quale si fondava il regime putiniano. I grandi marchi occidentali, da Ikea a Apple – che ha fermato per due giorni il suo online store russo per riscrivere i cartellini – hanno aumentato i prezzi fino al 20% per contrastare la svalutazione, un colpo allo shopping natalizio dei più abbienti. 
Intanto i poveri pagano l’embargo alimentare: mentre gli oligarchi riescono comunque a procurarsi il fois gras e il parmigiano, la carne e i latticini europei – meno costosi di quelli russi, garantiscono un terzo del mercato – sono spariti. Perfino il governo stima l’aumento dei prezzi del cibo, al 12%. Una «tempesta perfetta», dice Anders Aslund, uno dei maggiori esperti mondiali di economia russa, che profetizza una recessione addirittura del 4-6%.