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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

L’Italicum deve essere approvato ora anche se entrerà in vigore solo nel 2016. E Renzi rinuncia a dotarsi dell’arma delle elezioni anticipate per non cedere lo scettro delle riforme in mano «al grande partito trasversale»

C’è chi la chiama retromarcia – i suoi detrattori ovviamente – e chi invece un buon compromesso per evitare il cortocircuito tra Italicum ed elezione del futuro inquilino del Colle. Fatto sta che Matteo Renzi rinuncia a dotarsi dell’arma delle elezioni anticipate da qui al 2016 per non cedere lo scettro delle riforme in mano «al grande partito trasversale» che frena su tutto per non fargli portare a casa niente, né la legge elettorale né le riforme costituzionali.
E quindi alla grande alleanza che si è creata in Senato con lo zampino di Calderoli per infilare una clausola che renda l’Italicum inutilizzabile fino al varo della riforma costituzionale, il premier risponde provando a mediare. Concedendo un anno di sospensione prima che sia valido il nuovo sistema di voto da approvare. Dopodiché tana libera tutti. Tradotto, anche se Renzi assicura che la nuova legge elettorale «verrà usata solo nel 2018», la legislatura è blindata per un anno, ma non di più. «Non esiste la possibilità di legare la riforma elettorale a quella costituzionale: sarebbe un atto contro la Costituzione e un emendamento di questo tipo è già stato respinto. Possiamo immaginare una clausola che fa entrare la legge elettorale in vigore il 1 gennaio 2016», dice il premier da Algeri dove è in visita ufficiale. Punto. «Ma la legge va fatta subito altrimenti dopo anni di promesse continuare a rinviare sarebbe incomprensibile». 
È uno scrollone per tentare di far uscire dalle sabbie mobili l’Italicum: nella commissione guidata dalla Finocchiaro al Senato i renziani lottano contro il tempo per arrivare ad un sì il 23 dicembre prima di Natale: per strappare un sì dell’aula a gennaio prima della fatidica data di inizio delle votazioni sul capo dello Stato. Ma in trincea combattono pure gli uomini di Bersani in commissione e quelli di Fitto, cioè i dissidenti del Pd e Forza Italia. Bersani non vuole «i capilista bloccati, un partito sopra il 20% può eleggere qualcuno con le preferenze, gli altri sono solo nominati. Quindi si crea una disparità tra gli elettori, un problema insuperabile». E alla Camera, nella commissione che ha in mano la riforma costituzionale, i bersaniani sono la metà dei venti membri del Pd: tanto che ieri, dopo che i primi due articoli sono stati accantonati, si è tenuto un inedito vertice Governo-Pd-Forza Italia per capire come si possa trovare un’intesa su due nodi cruciali: composizione e funzione legislativa del nuovo Senato. 
Il premier è al corrente di tutte queste trappole e prova a sminare il terreno mettendo nero su bianco che per un anno non si andrà a votare. A Berlusconi sta bene così, non farà trappole: ha chiamato i suoi colonnelli più polemici col premier esortandoli a non insistere. «Della legge elettorale non importa nulla a nessuno, se c’è da votare votiamola, ma occupiamoci piuttosto di casa e tasse». Di fatto un via libera al compromesso offerto da Renzi. Un anno dunque. Tutto il tempo per approvare la riforma costituzionale che abolisce il Senato, compreso il referendum confermativo. «Così è un incentivo ad approvarla, funziona da acceleratore e non da freno. Una clausola che toglie il sospetto delle urne anticipate, ma non un’arma da fine di mondo in mano a loro», spiegano gli uomini del premier. Renzi vuole dare un colpo di acceleratore anche al costo di legarsi le mani. Obiezione: si potrebbe mai andare a votare anche nel 2016 con l’Italicum alla Camera e con il sistema uscito dalla Consulta al Senato? A Otto e mezzo risponde la Boschi: «Non è escluso che si possa verificare e può anche succedere che il Pd possa vincere in modo ampio sia al Senato che alla Camera».