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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

Gianpiero Samorì, l’imprenditore con ambizioni politiche che per ora si ritrova a fare i conti con il crac bancario della Tercas (e con due processi). Ritratto del presidente del Mir – Moderati in rivoluzione, il movimento politico con il quale sognava di diventare l’erede di Silvio Berlusconi

Domani sera alle 21 Gianpiero Samorì parlerà a Lodi sull’appassionante tema “Come uscire da questa crisi economica e sociale”, insieme a Daniela Santanchè del Pdl e a un esponente della Lega Nord. Ma sarebbe ancora più interessante se nell’occasione il presidente del Mir – Moderati in rivoluzione, il movimento politico con il quale ambisce all’eredità di Silvio Berlusconi – volesse spiegare come uscire dalla crisi giudiziaria che lo attanaglia, sotto forma di due processi che lo vedono imputato.   
Nei prossimi giorni il tribunale di Bologna deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio per il tentativo di scalata alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna messo in atto da Samorì nel 2008. Sono stati gli stessi vertici della banca di Modena a denunciarlo, accompagnando all’azione penale una richiesta di danni in sede civile per alcune decine di milioni di euro.   
Samorì è accusato di aver organizzato l’estrazione dagli archivi informatici della banca dell’elenco dei 90 mila soci corredato da numeri di telefono e indirizzi, per consentire alla sua associazione Bper Futura una più penetrante ed efficace campagna elettorale in vista dell’assemblea. Il suo obiettivo dichiarato era di farsi incoronare amministratore delegato dell’istituto di credito della sua città. Ad aggravare la posizione di Samorì il fatto che Riccardo Rubbiani, dipendente della Bper accusato di aver materialmente realizzato la sottrazione dei dati, ha poi lasciato la banca per diventare dirigente nella Assicuratrice Milanese di Samorì, il quale si è però sempre difeso negando ogni addebito.
Più complicato il caso della Tercas, la cassa di risparmio di Teramo protagonista di un rovinoso crac per il quale Samorì, insieme ad altri quindici imputati, dovrà affrontare l’11 febbraio prossimo l’udienza preliminare per il rinvio a giudizio. La lista dei reati contestati è spettacolare: associazione a delinquere, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta e ostacolo alla vigilanza. Samorì, 57enne di Modena dotato di un rutilante curriculum – finanziere, avvocato, docente universitario nonché ambasciatore a Parigi della Repubblica di San Marino – è la tipica figura di leader improvvisato la cui repentina vocazione rimane in bilico tra la cura degli interessi della nazione e quella degli interessi propri. Il programma politico del Mir, facilmente consultabile sul sito del movimento, è punteggiato da sconcertanti banalità quali “eliminazione dei privilegi” e “ristrutturare totalmente il sistema produttivo”, fino all’addirittura grandiosa “cambiare drasticamente la cultura del lavoro ricreando condizioni ottimali in cui i lavoratori possano svolgere al meglio i propri compiti”.
Con frecce così appuntite nel suo arco Samorì ha raccolto risultati in proporzione. Partito nel 2012 per concorrere alle primarie del Pdl che poi non furono mai fatte, cercò di darsi l’aria del delfino designato ma Berlusconi lo gelò subito: “Il signor Samorì l’ho conosciuto solo una volta e non è mai stato presente nel nostro partito”. Alle politiche del 2013 la lista Mir, presentata nell’alleanza di centro-destra, ha preso 81 mila voti, meno di Forza Nuova e del partito comunista di Marco Ferrando. Alle europee del maggio scorso il presidente del Mir si è candidato con Forza Italia nel Nord-Est e ha preso 13150 preferenze: “Mi aspettavo un risultato migliore”, ha commentato.    Ma forse gli elettori hanno subodorato una qualche schizofrenia del messaggio politico. Il programma politico del Mir propone “la riattivazione del credito bancario a favore delle piccole e medie imprese, degli artigiani, dei commercianti, delle famiglie. Farlo ad ogni costo, anche azzerando in gran parte l’attuale sistema bancario che ha palesemente fallito e prevedendo l’ingresso dello Stato nel capitale sociale”. In un certo senso Samorì questa parte del programma l’ha già attuata. Ha attivato potentemente il credito bancario, ma verso se stesso, e l’ha fatto ad ogni costo, contribuendo ad azzerare la Tercas che lo ha finanziato, vedendola palesemente fallire e obbligando lo Stato a intervenire.   
Secondo l’accusa del pubblico ministero di Roma Francesca Loy, Samorì ha fatto parte di un’associazione a delinquere incardinata sull’ex direttore generale della Tercas, Antonio Di Matteo. Scopo del consesso criminale sarebbe stato “consentire a quest’ultimo una gestione proprietaria del patrimonio della banca e un potere assoluto di decisione delle pratiche di concessione di finanziamenti al di fuori dei protocolli di garanzia previsti, ed agli altri, tutti imprenditori più volte finanziati, di ottenere cospicue somme di denaro a titolo di finanziamento in carenza dei presupposti di merito creditizio”. Questi generosi finanziamenti, sostiene la pubblica accusa, “hanno avuto l’effetto di determinare lo stato di default della banca teramana”. E sono stati ottenuti da Samorì e dai suoi presunti complici in cambio “della disponibilità a effettuare operazioni di acquisto con patto di rivendita di azioni proprie di banca Tercas idonee a conservare in capo al Di Matteo il controllo assoluto della banca, dissimulando l’effettiva consistenza del patrimonio di vigilanza dell’istituto di credito e così inducendo in errore la Banca d’Italia”.   
Il programma politico di Samorì, azzerare in gran parte l’attuale sistema bancario, ha già ottenuto i suoi primi risultati, stando a una relazione del direttore generale del Fondo interbancario di tutela dei depositi, Giuseppe Boccuzzi. Il Fondo ha dovuto mettere circa 300 milioni nella Tercas per evitare il fallimento e consentire alla Banca popolare di Bari di rilevarla. Ma la Bpb, per chiudere l’operazione, ha chiesto e ottenuto che rimanesse fuori dall’acquisto un finanziamento, e uno solo: quello da 50 milioni concesso a Samorì. Apparentemente è un’operazione in bonis, perché si tratta di un prestito cosiddetto bullet, cioè prevede il rimborso di tutto il capitale e tutti gli interessi alla scadenza, il prossimo 31 marzo. Quello che colpisce l’inclita e il volgo è che quei 50 milioni sono stati dati prestati a società due controllate della capogruppo di Samorì, Modena Capitale spa, per comprare dalla stessa controllante azioni della Assicuratrice Milanese, che è poi l’attività più consistente del gruppo Samorì. Provateci voi ad andare in banca a chiedere un prestito per comprare da voi stessi la vostra casa. Se ci riuscite siete pronti a fondare un partito.