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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

Arrestata una delle tre mogli del Califfo. Gli 007 libanesi l’hanno intercettata al confine. Saja Al Dulaimi si nascondeva tra i profughi siriani, con uno dei figli. Anche se gli esperti dubitano che la donna sia in possesso di informazioni cruciali sul marito, per Al Baghdadi il colpo è duro


L’intelligence libanese ha messo a segno un colpo grosso, sia pure con l’aiuto di un apparato di spionaggio straniero, arrestando una delle tre mogli di Abu Bakr Al Baghdadi, il terrorista iracheno auto-proclamatosi Califfo, che vorrebbe conquistare il mondo. L’arresto è avvenuto alla frontiera nord con la Siria. La donna, identificata da fonti libanesi come Saja Al Dulaimi, siriana, era con uno dei figli, un bambino, o una bambina, le indiscrezioni su questo punto si contraddicono, di otto o nove anni e aveva con sé documenti falsi. Mistero sul motivo del suo viaggio in Libano, così come su molti dettagli dell’operazione.
Quel che si sa è che la moglie del Califfo, che di mogli ne ha tre, due irachene e una siriana, sarebbe stata portata nella sede dei servizi di sicurezza, presso il ministero della Difesa, a Yarze, non lontano da Beirut, dove viene interrogata e dove, il bambino, o la bambina, con cui viaggiava è stato sottoposto a un test del Dna che ne avrebbe confermato la parentela con Al Baghdadi. Sempre alla frontiera Nord, ma separatamente, è stata arrestata la moglie di Anas Shirkas, un pezzo da 90 del Fronte al Nusra, il gruppo direttamente legato ad Al Qaeda che rivaleggia con lo Stato Islamico capeggiato dal Califfo al Bagdadi in tutta la Siria ma non nella regione alla frontiera con il Libano.
Altro dettaglio non secondario è che Saja Al Dulaimi, figlia di un esponente di punta della rivolta armata contro il regime di Assad, morto in battaglia nei pressi di Damasco, faceva parte del gruppone di 150 donne detenute dal regime siriano rilasciate lo scorso mese di marzo, su mediazione del Qatar, in cambio della liberazione di 13 suore e tre assistenti prese in ostaggio nel monastero di Santa Tecla a Maalula, il piccolo centro cristiano teatro di uno scontro durato mesi tra i ribelli e l’esercito siriano. Lo scambio avvenne in una località del Qalamun, a ridosso della frontiera tra Siria e Libano.
Adesso si dice che dopo aver riacquistato la libertà, Saja avrebbe raggiunto il Nord del Libano, dove, secondo i servizi d’informazione libanesi, confusi nella miriade di rifugiati (un milione quelli regolarmente registrati) le formazioni che combattono il regime di Danasco hanno costituito una comoda retrovia. Questo spiegherebbe l’arresto, anzi, gli arresti di questi giorni. Ma che vantaggi potrebbe trarne il Libano? La risposta più logica vuole che l’arresto della moglie di al Baghdadi fornisca alle autorità libanesi una carta insperata da giocare contro i gruppi ribelli (Fronte al Nusra e Stato Islamico, in armonia fra di loro) che tengono in ostaggio 29 tra soldati e agenti della sicurezza libanese, catturati il 2 agosto ad Arsal, un’enclave sunnita in territorio prevalentemente sciita, al confine tra Siria e Libano. Tre degli ostaggi sono stati giustiziati. In cambio dei rimanenti, i ribelli chiedono il rilascio di alcuni miliziani arrestati nei mesi scorsi. Quanto al Califfo, anche se gli esperti dubitano che Saja Al Dulaimi sia in possesso di informazioni cruciali sul marito, il prestigio di Al Baghdadi certamente ne soffre.