la Repubblica, 3 dicembre 2014
Partire dal Pd. In vista dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica Renzi apre a Bersani. «Se noi troviamo una compattezza interna non ce n’è per nessuno. Passa dal Pd la gestione della partita per il Colle. Quindi adesso lavoro per la tenuta e la consapevolezza del mio partito»
Un presidente della Repubblica che parta dalla proposta del Partito democratico. Questa è la base su cui Matteo Renzi sta cercando un dialogo con la minoranza e con quella che considera la guida morale di quel pezzo del Pd: Pier Luigi Bersani. Per questo i suoi interlocutori da alcuni giorni gli sentono ripetere parole che starebbero bene in bocca all’ex segretario: «Se noi troviamo una compattezza interna non ce n’è per nessuno. Passa dal Pd la gestione della partita per il Colle. Quindi adesso lavoro per la tenuta e la consapevolezza del mio partito ». Che si può tradurre così: evitiamo un bis dei 101 di Prodi. «Nel 2013 c’era un Pd in difficoltà mentre Forza Italia e Grillo avevano una linea dura e solida. Oggi è esattamente il contrario. Dobbiamo sfruttare l’occasione ». È questo il terreno su cui Bersani ha più volte richiamato il suo successore: «Partire dal Pd». O meglio: «Da quel 25 per cento che ha segnato una vittoria striminzita ma ci ha permesso di fare ben due governi». Una rivendicazione personale che l’ex leader prima o poi vorrebbe veder riconosciuta dal premier. Se Largo del Nazareno sceglierà una candidatura alta e forte, «non ci sarà nemmeno bisogno di grandi contrattazioni interne », dice un bersaniano doc come Alfredo D’Attorre. «La condivisione è possibile — spiega Bersani ai suoi collaboratori —. Sapendo che io non accetto scambi, non è nella mia natura ». Resta però di fondo la diffidenza dell’ex segretario. «So che Matteo è sempre alla ricerca di colpi di immagine. Il modello Muti per fare un esempio. Però il Paese è ancora su una strada piena di curve e ci vuole una personalità che sappia guidare la macchina». Bersani non solo considererebbe la scelta di marketing come «una stravaganza ». Sarebbe, dice, «un abbassamento del livello politico e istituzionale che comporterebbe un danno per l’Italia». Bisogna studiare un’altra soluzione.
Nei suoi colloqui quotidiani con la minoranza, allora, il vicesegretario Lorenzo Guerini propone un accordo sul metodo e soprattutto sull’unità del Pd. «Poi troveremo il candidato», dice. Ma i colloqui sono sempre più frequenti e ora coinvolgono anche la legge elettorale, un passaggio preliminare all’elezione del capo dello Stato e sul quale minoranza e maggioranza del partito sono sempre distanti.
Eppure anche sull’Italicum da Renzi viene qualche apertura. In vista del voto quirinalizio. Il premier sa che Bersani è il punto di riferimento di Area riformista, la corrente di Roberto Speranza, Maurizio Martina, Nico Stumpo e Guglielmo Epifani che conta parecchi voti tra Camera e Senato. Sa anche che la scelta dell’ex segretario di votare “sì” al Jobs Act, seppure per disciplina, ha avuto l’effetto di contenere il dissenso nel gruppo parlamentare limitandolo a 40 deputati. Per tutti questi motivi oggi è indispensabile guardare ai bersaniani e dimenticare l’affondo della Leopolda quando scaricò «quelli che ci vogliono riportare al 25 per cento », parole che hanno segnato il punto più basso del rapporto Renzi-Bersani e che sancivano uno strappo profondo nel Pd. Tra vecchi e nuovi, tra il passato e il futuro. Oggi Renzi deve ricucire quel filo.
Non è certo una gentile concessione ai rottamati, quella del premier. Il patto del Nazareno fa acqua da molte parti e rischia di trascinare nel caos la corsa al Colle. Non a caso Bersani si incunea nella frizione Renzi-Berlusconi e torna ad attaccare sulla legge elettorale. Il tema sono le preferenze. «Non mollo sull’Italicum », avverte. E sempre di più gli sviluppi del dibattito al Senato diventano fondamentali per vaticinare il voto per il Quirinale. I gruppi parlamentari dei contraenti del Nazareno tengono sull’Italicum? Un bersaniano prevede «mare mosso» a Palazzo Madama. «Il nucleo d’acciaio sono le liste bloccate, nient’altro», racconta. Proprio quello che l’ex segretario vuole intaccare per scendere da 350 nominati a 100-150. «Se il numero è 100 — ha risposto Guerini a Francesco Boccia in una conversazione di ieri — ve lo scordate». Renzi proverà a mediare su una composizione della Camera fatta da 2/3 di eletti (380 deputati) e 1/3 bloccati (250). Ma Berlusconi è d’accordo? «Nel patto adesso — dice il bersaniano — c’è anche il sospetto di Berlusconi sul voto anticipato. Per questo l’esito dell’Italicum al Senato sarà la prova del nove per capire come andranno le cose sul Quirinale». Dentro Forza Italia e dentro al Pd.