2 dicembre 2014
«Il piccolo Andrea Loris Stival è stato strangolato». L’inchiesta sembra a una svolta. L’autopsia conferma le violenze sul corpo del bimbo ma non chiarisce se ci sia stato un abuso sessuale o meno. Il sospetto degli inquirenti è che il bambino avesse già seguito l’orco. E pensare che solo due giorni prima si era fatto fotografare tutto sorridente con il nuovo kimono da taekwondo
La Stampa
L’impressione è che l’inchiesta abbia fatto consistenti passi avanti. Forse decisivi. I protagonisti di questa brutta storia vengono chiamati e richiamati dagli investigatori. Il cacciatore che aveva trovato il corpo del piccolo Andrea Loris Stival, Orazio Fidone, pensionato Enel di 67 anni, ieri sera è stato nuovamente convocato in questura. Lo stesso per i familiari, dal nonno in giù. Ma sono tanti i testi che vengono sentiti. Si confrontano i racconti. E sono state effettuate perquisizioni, sequestrati indumenti. La magistratura ha fatto sequestrare anche degli indumenti del bimbo ucciso. Saranno utili per le comparazioni di laboratorio.
Si respira insomma un’aria di moderato ottimismo tra gli inquirenti: ci sono due o al massimo tre piste che sembrano promettenti. Quelle «piste privilegiate» a cui accennava il procuratore capo Carmelo Petralia già al mattino.
Fidone era stato sentito anche domenica, per quattro ore. E la sua auto da allora è sotto sequestro. Per il momento però è sempre una persona a conoscenza di fatti, non un indagato. E sembra che a Fidone chiedano notizie a tutto campo, anche su alcune armi da fuoco, trovate in suo possesso, ma per le quali non avrebbe avuto le autorizzazioni necessarie. Finalmente sono arrivate anche le prime certezze dall’autopsia: il piccolo Stival è morto strangolato; poi è stato buttato giù da un ponticello e cadendo sul cemento del canalone sottostante, il cranio ha riportato quei danni che erano sembrati la vera causa della morte.
È morto quasi subito dopo essere scomparso, sabato scorso, di prima mattina: l’assassino, di sicuro uno di cui Andrea si fidava, l’ha caricato in macchina e l’ha portato sul luogo dove pensava di tentare l’approccio con il bimbo. Approccio finito malissimo, con un barbaro omicidio.
Sul movente sessuale, gli inquirenti non hanno dubbi. Frenano però le parole: «Al momento risulta infondata la presenza di segni di violenza a scopo sessuale». Salvo precisare che la perizia continua, che ora è all’opera un collegio di tre medici legali (sono stati associati anche un chirurgo e un anatomo-patologo), e che occorreranno esami di laboratorio. Ma se la causa della morte è così chiara, a che cosa servono tutti questi accertamenti ulteriori?
«Sembra la copia del caso di Yara Gambirasio», si lascia sfuggire un investigatore. Proprio per scongiurare un bis di quella storia, da Roma verranno inviati alcuni investigatori dei reparti specializzati della polizia da affiancare ai locali. I segugi tecnologici del Servizio centrale operativo saranno utilissimi per incrociare i dati dei telefoni cellulari e delle telecamere di strada. È stata una decisione del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che l’ha ufficializzata con un tweet: «Abbiamo mandato a Ragusa i nostri migliori investigatori per trovare l’assassino del piccolo Loris. Ogni strada sarà battuta».
Al riguardo, il procuratore Petralia è stato categorico. «Indaghiamo a 360 gradi, anche se abbiamo qualche ipotesi privilegiata». L’inchiesta per ora resta contro ignoti. Il pm sottolinea più volte il concetto. E per forza: c’è un paese che è sotto choc, una famiglia affranta dal dolore, e ora per di più travolta dall’idea che il bimbo sia stato nelle mani di un pedofilo. Già, l’incubo del pedofilo della porta accanto. E che nessuno salti a conclusioni sbagliate. Tutti sono invitati a collaborare nelle indagini. «Non per una caccia alle streghe, ma il primo vero consistente aiuto può venire dalla popolazione». Lo zainetto di Andrea ancora non salta fuori. Dopo avere controllato tutti i cassonetti del paese, ora si passa ad esaminare quelli delle contrade vicine.
Francesco Grignetti
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La Stampa
E a un certo punto, la voce del procuratore capo di Ragusa, Carmelo Petralia, s’è fatta profonda: «Parliamo di una cittadina di ottomila abitanti... Determinati movimenti non possono essere sfuggiti». Petralia aveva appena fatto appello ai paesani di Santa Croce Camerina chiedendo aiuto, informazioni, anche soffiate anonime. Possibile che nessuno abbia visto niente? Davvero un bambino di 8 anni può girare i tacchi, non entrare a scuola e salire su un’auto con uno sconosciuto che si rivelerà il suo carnefice? E se per puro caso l’assassino l’avesse fatta franca sabato mattina, sfuggendo a occhi umani e elettronici, qualcuno avrà pur visto qualcosa di anomalo nelle settimane o nei mesi precedenti. Un’attenzione di troppo. Un segnale equivoco. Una traccia di rapporti impropri. Perciò Petralia ha insistito: «Chiediamo aiuto anche per mettere a fuoco situazioni precedenti che possano riguardare il ragazzino».
Ecco dunque qual è il sospetto attorno a cui gli investigatori stanno lavorando: i «precedenti». Siccome tutte le testimonianze concordano sul punto che Andrea fosse un bimbo introverso (l’ultima, quella dell’insegnante di arti marziali, Maria Teresa Giandinoto: «La mamma l’aveva iscritto in palestra perché lo riteneva troppo timido e voleva che socializzasse con altri suoi coetanei»), il piccolo Andrea Loris Stival non si sarebbe mai fidato di andare via in auto con uno sconosciuto. E la conclusione è ovvia: l’assassino è un conoscente della famiglia. Ma il bimbo non avrebbe marinato la scuola se non fosse stato lentamente e pazientemente circuito. Perchè non è vero che Andrea andasse a zonzo spesso nelle ore di lezione. Dai registri scolastici risultano due sole assenze e sempre giustificate. La mamma, poi, che da tre giorni si dispera, e che adesso è vittima di atroci sensi di colpa («Dovevo portarlo per mano fino in classe», ripete a chiunque l’abbia vista), non era affatto una madre distratta. Tutti in paese raccontano che il bambino era molto seguito dagli Stival: chi l’ha agganciato, godeva della fiducia anche dei familiari.
In conclusione, il bimbo è stato vittima di un raptus omicida – pensano gli investigatori – ma nel contesto di un piano architettato da tempo. Il pedofilo deve avere studiato la sua vittima per capire come conquistarne la fiducia e allo stesso tempo deve avere identificato il luogo dove tentare l’approccio con attenti sopralluoghi: il canalone dove l’ha ucciso è un pezzo di campagna incolta e poco frequentato, nascosto alla strada da un fitto canneto, né troppo lontano, né troppo vicino dal paese. Fino a qualche tempo fa era pure vigilato da telecamere perché c’era gente che vi andava a buttare materassi e altri rifiuti ingombranti. Ora non più; probabilmente l’assassino aveva calcolato anche questo. Sapeva che nessuno passa mai da quelle parti e che non c’è il rischio di essere visto neppure a distanza. Se poi le cose sono andate come sono andate, e se Andrea Loris è stato ucciso da una feroce stretta al collo, tutto lascia pensare che sia stato per un impulso del momento: l’assassino s’è visto perso, ha capito che il piccolo non soltanto non avrebbe accondisceso alle sue voglie, ma che avrebbe raccontato agli adulti quello che era accaduto al Vecchio Mulino, e ha scelto di chiudergli la bocca per sempre.
Gli investigatori dunque cercano un uomo malato, con un’auto, conosciuto dal piccolo e dalla famiglia Stival, e che sabato mattina era libero dal lavoro. Sulla carta non sembrerebbe così difficile stilare una rosa di sospettati. Ma poi occorrono le prove per indirizzarsi su uno o sull’altro. Gli archivi non aiutano: in paese sembra che non ci sia nessuno con precedenti di abusi sessuali su minori.
I magistrati sperano sempre in qualche colpo di fortuna dalle indagini scientifiche, così anche ieri per tutto il giorno sono proseguiti i sopralluoghi della Polizia scientifica.
Fra. Gri.
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Corriere della Sera
Un bambino solitario. Introverso. Stava quasi sempre in disparte anche se le sue maestre lo definiscono «vivace» e «sereno». Un compagno di classe lo ricorda felice perché «il giorno prima aveva preso 10 in storia».
A Loris piacevano i camion, quelli che suo padre Davide guidava per lavoro. Una vera passione, sia per giocare che per fantasticare. Per immaginare chissà quale mondo lontano ogni volta che il suo adorato papà era costretto a dormire fuori casa. Sognava di guidarne uno, un giorno. Ma adesso di mestiere faceva il bambino. E come tutti i bambini ogni tanto ne combinava una grossa. Per esempio quella volta che sparì e nessuno riuscì a trovarlo per un paio d’ore. Sua madre Veronica aveva il cuore in subbuglio mentre lo cercava in ogni dove. E ricorda ancora il sollievo e la felicità di risentire la sua voce quando lo ritrovarono: si era infilato in una specie di piccolo supermarket cinese e non si era preoccupato del fatto che sarebbero stati tutti in pensiero per lui.
Anche sabato hanno sperato che finisse così. Hanno cercato fra le cianfrusaglie di quel negozio cinese. Loris era morto da ore, come dice l’autopsia. Un minuto e la notizia del corpo ritrovato ha fatto il giro del paese, è entrata in ogni casa, si è seduta ai tavolini di ogni bar. E quel bambino quasi invisibile per quanto era poco chiassoso e smilzo, è diventato il bambino di tutti, quello che «sì, certo che lo conosco», «l’ho visto ieri», «mi ha salutato l’altro giorno...».
Loris e l’orco. Ha provato a difendersi, si ipotizza per via di alcuni graffi rivelati dall’autopsia. Ma stavolta non era come quando lo faceva per allenarsi in palestra. Lì era più o meno un gioco. Loris si era iscritto alle lezioni di taekwondo e due giorni prima di morire si era fatto fotografare con il kimono nuovo. Quella foto, distribuita dai carabinieri quando sono partite le ricerche, l’aveva voluta per spedirla al papà con whatsapp. L’istruttrice, Teresa Giandinoto, l’ha osservato mentre si metteva in posa con la corazza per il suo primo combattimento. L’ha visto sorridere dietro l’obiettivo e oggi guardare quella fotografia fa male perché è diventata l’immagine simbolo di questa storia. «Ricordi tristissimi sui quali non voglio dire altro se non che siamo tutti sconvolti per quello che è successo» taglia corto. Nei giorni scorsi alla stampa locale aveva confidato che fu la madre di Loris a volere che si iscrivesse a taekwondo per provare a dare uno scossone alla timidezza del figlio, schivo e un po’ insicuro.
La sua immagine da sabato è nella mente di chiunque lo abbia anche solo incrociato una volta. Il poco che si racconta di lui in paese conferma un dettaglio delle indagini: era diffidente, non avrebbe dato confidenza a un estraneo.
Giusy Fasano