il Giornale, 2 dicembre 2014
Madame de Pompadour secondo i fratelli Goncourt
A guardarli nessuno avrebbe detto che fossero fratelli. E non solo per la differenza d’età – otto anni, che pur non sono pochi – ma per le caratteristiche fisiche. Nelle celebri immagini che scattò loro nel 1852 Nadar, pioniere della fotografia ma anche eccellente caricaturista, Edmond, il più anziano, appare alto, magro, bruno, un volto triangolare, baffi e pizzetto che richiamano alla mente Napoleone III, mentre Jules è piuttosto basso, biondo, il viso tondeggiante, un corpo meno snello e niente baffi né barba. Eppure i due furono legatissimi al punto da costituire un caso unico nella storia letteraria non solo francese. I loro nomi furono sempre associati: Edmond e Jules erano, per tutti, una sola entità: i «fratelli Goncourt» o, più semplicemente, «i Goncourt». Quando il più giovane, Jules, morì colpito dalla sifilide appena quarantenne nel 1870, Edmond continuò a scrivere, firmandolo anche con il nome del fratello, quel Journal, che è una vera e propria enciclopedia del gossip della società mondana e letteraria della Francia della seconda metà del diciannovesimo secolo. Il Journal era, come scrisse Edmond, la «confessione di ogni sera, la confessione di due vite inseparabili nel piacere, nel lavoro; di due pensieri gemelli, di due spiriti che dal contatto con gli uomini e le cose ricevevano impressioni tanto simili, tanto identiche, così omogenee che questa confessione può essere considerata come l’effusione di un solo io, di un solo essere»: più esattamente una specie di «autobiografia del giorno per giorno» nella quale entrano ed escono di scena, e poi tornano ancora alla ribalta, personalità di ogni tipo, ritratte secondo le impressioni e gli umori del momento.
Se è vero che il nome dei Goncourt è inscindibilmente legato a questo mirabolante e affascinante caleidoscopio della società francese che è il Journal (ne esiste, in italiano, una coraggiosissima ed eccellente traduzione integrale in sette grossi tomi pubblicata alcuni anni or sono da Aragno), è anche vero che esso si ritrova nel frontespizio di numerose opere di saggistica storica costruite con lo stesso spirito – indagatore e irriverente ma, al tempo stesso, ammiccatore e insolente – che circola nelle pagine memorialistiche e autobiografiche. È il caso, per esempio, del volume, a firma congiunta di Edmond e Jules Goncourt, dedicato a Madame de Pompadour (Castelvecchi, pp. 288, euro 19,50), fino ad oggi inedito in italiano. Si tratta di una bella biografia pubblicata, una prima volta, dai due nel 1860 all’interno della loro Histoire des maîtresses de Louis XV e, successivamente, nel 1878, estrapolata dalla raccolta e resa autonoma dopo essere stata largamente rivista e ampliata. Per madame de Pompadour i Goncourt ebbero sempre una particolare predilezione tant’è che la presenza della marchesa aleggia anche nelle pagine del Journal in una sorta di contrapposizione in positivo rispetto ad altre dame della loro epoca. Per esempio, il 30 settembre 1862, i due fratelli, parlando in modo forse troppo ingeneroso dell’imperatrice Eugenia, «testa vuota, folle di toilette», la presentavano come un esempio dell’«abbassarsi del livello della donna dal XVIII al XIX secolo, da una Pompadour a una Montijo». Per le donne dell’epoca dei Lumi, libertine e colte, ma anche capaci di acquisire un prestigio destinato a trasformarsi in vera e propria influenza sociale e politica, i Goncourt – come si evince da un altro loro delizioso e divertente volume, La donna nel XVIII secolo (Sellerio) – avevano, per così dire, un debole.
È emblematico il caso di Jeanne-Antoinette Poisson, poi marchesa di Pompadour, che, al culmine di una vertiginosa ascesa sociale, diventa, dapprima, confidente e, poi, favorita di Luigi XV riuscendo a imporre radicali cambiamenti nella vita di corte, favorendo lo sviluppo delle arti e facendo sentire il peso della propria personalità anche nelle scelte politiche della Corona. I Goncourt – attraverso una prosa scintillante che stempera l’aneddotica in una attenta ricerca documentaria e in un approccio di tipo psicologico – seguono il percorso seduttivo della favorita che conquista, poco alla volta un sovrano che, a differenza del suo predecessore, Luigi XIV, tutto compreso della maestà reale, sembra prigioniero di una «noia regale». Fanno vedere com’ella tenesse occupato il sovrano «senza abbandonarlo un attimo e senza permettergli di ricadere su stesso», strappandolo dal lavoro, contendendolo ai ministri, nascondendolo agli ambasciatori, sottraendolo alla monarchia. La bella marchesa appare ai Goncourt come una donna di eccezionali capacità che non si rassegnava a godere del «potere effimero di un’amante del Re» ma che era «assetata di immortalità, ambiva ad avere il suo posto nella Storia, voleva sopravvivere a se stessa». Così ella riunì attorno a se stessa gli uomini più importanti del suo secolo, soprattutto letterati e artisti, facendone dei suoi debitori, concedendo loro una pensione, alloggiandoli nei palazzi di Stato, aprendo loro le porte dell’Accademia. Questa donna eccezionale, «fredda e arida», proveniente da una famiglia borghese, appartenne a quella categoria «delle governanti del Re e delle favorite che svolgevano il ruolo dei Primi ministri» e che poté realizzare «il suo regno e il suo sogno a immagine e misura della borghesia». Un contemporaneo dei Goncourt, il caustico critico letterario Charles-Augustin de Sainte-Beuve, nel suggestivo profilo che le dedicò nei suoi I lunedì (Aragno), confermò questo giudizio precisando che «questa donna aggraziata ringiovanì la corte apportandovi la vivacità dei suoi gusti francesi e parigini» e che, come protettrice delle arti, si rivelò «assolutamente a livello del ruolo e del suo rango» pur se, come politico fece male, ma «non più male, forse, di quanto avrebbe fatto ogni altra favorita al suo posto in quel momento, in cui mancava alla Francia un vero uomo di Stato».
La biografia di madame de Pompadour scritta dai fratelli Goncourt nel bel mezzo di un secolo che vede risplendere i fasti della nuova corte imperiale di Napoleone III e di Eugenia de Montijo non ricostruisce solo le vicende personali di una donna di grande fascino che impregnò di sé, e del suo gusto, un’epoca fino a diventarne madrina, ma offre un vero e proprio affresco del modo di vivere, e pur di far politica, in quella che, all’epoca, era la nazione più potente d’Europa. E che, di lì a qualche tempo, avrebbe conosciuto gli effetti della Rivoluzione Francese. Un grande e suggestivo affresco, insomma, pieno di chiaroscuri, che si pone, al tempo stesso, come una disincantata riflessione sul potere.