il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2014
Pietro Grasso, la Seconda carica che mira alla Prima. Il presidente del Senato brama (con riservo) le dimissioni di Napolitano e già sogna la sede vacante al Quirinale. L’arte di «tenersi sulle generali»
È la Seconda carica che sogna la Prima. Pietro Grasso, il presidente del Senato, le pregusta proprio le dimissioni di Giorgio Napolitano. Ogni giorno, ogni minuto che passa, infatti, ne prende le funzioni. Si tiene sulle generali. Grasso, stratega qual è della retorica istituzionale, l’interim lo incarna. Ne fa fisiognomica. E si muove –osservatelo –come davanti a un picchetto. Ecco, gesticola cercando un nastro da tagliare, parla – anzi, esterna – neppure più per retorica ma per prosopopea. Non cammina, incede. E tanto è tronfio in cerca di un semi-trionfo, da essere già – così ordinario, in un ruolo straordinario – un anticipo di quel che farebbe. Foss’anche per restare supplente. Per tenersi, sempre, sulle generali.
Lui – si sa – si trova lì perché chi-di-dovere non sapeva chi scegliere; e però, Grasso, trovandosi lì, si fa il fatto suo. “La questione della successione esige una maturità delle forze politiche”, dice, e frattanto si adopera nella strategia della supplenza per specchiarsi nel vizio più antico del potere: fare le veci di, stare al posto di, far melina, lasciar correre e, intanto, prender posto più che posizione; perché, in tema di scelte, Grasso si avvolge da sempre nel “ciripà” – il fatto suo – della camicia. Si tiene sulle generali. Fa, per dirla con un’immagine a lui familiare, u sceccu n’to lenzuolo. Ossia fa come l’asino accolto nel giaciglio di sete e lini, dove la grossolanità dei modi non coincide con la raffinatezza dei comodi; si barcamena e si annaca, ovvero si dondola, e quel massimo movimento con cui si produce nel minimo spostamento lo consegna al tornaconto dell’adda passà a nuttata istituzionale. Tenendosi sulle generali.
Deve commemorare Leonardo Sciascia? Ne abusa a uso dei garantisti, ma subito dopo – a uso dei giustizialisti – reclama gli Hummer blindati per il pm Nino Di Matteo. Riceve la famiglia di Stefano Cucchi? Equivicino com’è, invocando “verità & legalità” si dichiara vicino al bastonato ma anche al bastonatore. Prende parte alla presentazione del gruppo di lavoro di Renzo Piano sul rammendo delle periferie e, roboante nella posa quanto nella prosa, se ne viene con la più scontata delle citazioni, il solito Italo Calvino, “le periferie esistenziali” di Papa Francesco e poi ancora Pentesilea (nientemeno), purché, si sa – dopo ogni “fare presto” – ha cura che non si dica di lui che sia un provinciale, tant’è vero che mette punto, punto e virgola e due punti su ogni suo discorso. Prende posto, più che posizione, sulla questione “prescrizione”, a proposito della sentenza Eternit e ripete: “Fare presto”. È sempre un tenersi sulle generali. È il Carlo Conti delle istituzioni, Grasso, ma non ha il physique du rôle della “riserva della Repubblica”. Non è un Giovanni Spadolini, né un Giuliano Amato né, tanto meno, un Gianni Letta. E non è neanche speculare a Laura Boldrini che, a dispetto di ogni paragone, resta fedele a se stessa, pur smaccatamente sopra le righe, mentre Grasso, giulivo tra le righe, si acquatta nella parentesi. Nelle generali. E non succede più nulla.
Il “sedevacantismo”, di cui è sacerdote, lo rende però speciale. Come i bidelli prestati al cambio dell’ora tra un professore e l’altro, Grasso, giorno dopo giorno, guadagna la prospettiva di mettersi davanti alla porta di tutte le porte del Palazzo, annacandosi. Fatta vacante la sede, muovendosi circospetto tra le cautele, Grasso sa destinarsi all’estrema riserva della Repubblica, dove la transizione – la parentesi, il prendere tempo, la supplenza – più che strategia, infine, è carriera. Sulle generali.
Ha scoperto un mestiere, Grasso. Nella viva vena del potere. Lo ha trovato nell’interstizio del precariato in completo blu, nel prendere tempo della staffetta, nel passaggio di consegne; perché ciò che non finisce mai, in Italia, è l’eternità dell’anticamera. In generale.
Come diceva Totò: uomini e caporali. C’è chi fa anticamera, gli uomini, e chi sta davanti alla porta, i caporali. E tutto questo stare nella pesca delle occasioni, davanti alla porta del potere, richiede non il dramma della politica ma una piccola fatica. Più che il pensiero forte, infatti, Grasso ha dei pensierini, non più di dieci. La sua cifra è, appunto, una triade. Verità & legalità. Per poi diventare grande nella sua terza qualità, la banalità. I comunicati stampa, con lui, vanno in automatico: “Fare presto”. Non è né Spadolini, né Amato, né Gianni Letta, lui. Grasso è solo il “Professore Vinella”, personaggio di Alto Gradimento interpretato da Giorgio Bracardi. Era, quella, una fortunata trasmissione radiofonica di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. Dove c’era questo tormentone: “Per chi ha votato, professore?” “Mi sono tenuto sulle generali”. Come dire, “fare presto”. Sempre sulle generali.