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 2014  dicembre 02 Martedì calendario

Perché gli Stati Uniti resistono al ribasso dei prezzi del petrolio e continuano nella produzione di shale gas (nonostante le grandi compagnie di greggio sperino il contrario)

Di fronte alla caduta dei prezzi del petrolio, una delle speranze dei grandi produttori è che si fermi il boom della produzione statunitense di greggio da formazioni non convenzionali (generalmente conosciute come shale) – boom che tanta parte ha avuto nel crollo delle quotazioni dell’oro nero. La speranza dei produttori sembra corroborata da tante analisi secondo cui il greggio shale sarebbe antieconomico al di sotto di prezzi di 75-80 dollari al barile.
In realtà, questo scetticismo verso le formazioni shale rincorre il loro successo da oltre dieci anni, da quando – cioè – cominciò a prendere corpo la rivoluzione americana dello shale gas, che solo in seguito si è estesa al petrolio. Da allora, anno dopo anno, la stragrande maggioranza degli osservatori e degli esperti (compresi i governi di Arabia Saudita e Russia) ha ripetutamente etichettato il boom americano di gas e petrolio come una bolla temporanea destinata a esplodere rapidamente. Ma lo shale ha ignorato quelle previsioni e ha continuato a prosperare e a battere ogni record. Ed è probabile che lo faccia anche adesso. Spiegherò perché partendo da un paradigma con cui i tanti teorici della bolla temporanea evitano accuratamente di confrontarsi, un paradigma offerto dal caso dello shale gas. Partendo praticamente da zero nel 2000, la produzione di shale gas statunitense è andata aumentando in modo impressionante – superando i 420 miliardi di metri cubi l’anno (l’85% del consumo europeo) nelle scorse settimane. Ciò che più stupisce è che la produzione sia aumentata di oltre sei volte dal 2008 a oggi, in parallelo al crollo dei prezzi del gas negli Stati Uniti fino a livelli che – secondo i teorici della bolla temporanea – avrebbero dovuto vanificare le produzioni stesse, a loro dire troppo costose. Per inteso, tra i pessimisti di un tempo c’erano anche grandi compagnie petrolifere come la Exxon, che nel 2005 ricorse all’immagine della bolla temporanea per descrivere la probabile parabola dello shale gas (nel 2009, tuttavia, la stessa Exxon acquistò il più grande produttore statunitense di shale gas per 42 miliardi di dollari, proprio mentre i prezzi del gas si accingevano a crollare). Come è stato possibile che un boom produttivo di quelle dimensioni abbia potuto convivere con prezzi del gas pari in certi momenti a un sesto di quelli europei (oggi sono meno della metà)? Vi sono una serie di fattori che possono spiegarlo. Anzitutto, il grande sviluppo del giacimento di Marcellus – probabilmente il maggior giacimento di gas mai scoperto al mondo, ricco e relativamente poco costoso da sfruttare. Il fattore più importante, tuttavia, è stato l’enorme aumento di produttività dei nuovi pozzi perforati in ciascuna formazione shale (sia petrolifera, sia a gas) degli Stati Uniti a fronte di una costante riduzione dei costi di sviluppo. Per esempio, la produzione per singolo pozzo a Marcellus è aumentata di sei volte tra il 2010 e il 2014. A Haynesville (shale gas) i nuovi pozzi producono il quadruplo rispetto al 2007. Pressappoco nello stesso periodo, la produttività per pozzo è aumentata di quasi cinque volte a Eagle Ford (prevalentemente shale oil) e più che raddoppiata a Bakken (shale oil). Parallelamente, secondo i mie calcoli i costi di perforazione e di sviluppo per pozzo sono diminuiti di circa il 40% rispetto al 2010. A loro volta, aumento di produttività e riduzione dei costi derivano dai grandi progressi che continuano a verificarsi nella conoscenza delle formazioni shale e nella tecnologia impiegata per svilupparle. Il rapido e costante evolversi di questa potente combinazione di fattori è stato ignorato da quanti hanno analizzato il fenomeno shale, basando in gran parte le loro valutazioni su dati non aggiornati, modelli econometrici o geologici non in grado si rispecchiare gli effetti di conoscenza e tecnologia su produttività e costi, aree produttive e singoli pozzi non rappresentativi della complessa realtà shale. A loro volta, queste lacune hanno prodotto valori inaffidabili sui fondamentali economici dello shale gas. Incorruttibili dalla realtà, gli stessi analisti hanno ripetuto gli stessi errori nel valutare il fenomeno dello shale oil, che dal 2008 a oggi è esploso arrivando a una produzione di oltre 4 milioni di barili al giorno – superiore, cioè, all’intera produzione attuale di Iraq e Libia. Una produzione che può resistere e continuare a crescere anche con prezzi molto più bassi del greggio.