Il Messaggero, 2 dicembre 2014
La vera storia di Ettore Majorana, da una cartolina dello zio alle ricostruzioni facciali passando per la testimonianza di un ex emigrato a “Chi l’ha visto?”. Si fa luce sulla scomparsa del padre della quantistica
«Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli». È il 26 marzo 1938 quando il fisico Ettore Majorana scrive la sua ultima lettera ad un collega dell’Istituto di Fisica dell’Università di Napoli. Si è lasciato alle spalle il gruppo con cui ha studiato a Roma in via Panisperna, gli studi sulla meccanica quantistica, le applicazioni sulla teoria dei neutrini e persino le sfide matematiche con cui riusciva, a mente, a battere i calcolatori utilizzati da Enrico Fermi. Su cosa sia successo a questo giovane e geniale fisico, forse il più dotato del gruppo, si sono scritti mille libri, uno tra tutti quello di Leonardo Sciascia. Ora, però, dopo aver lavorato per tre anni al “cold case”, la procura di Roma è convinta di aver trovato le prove per dire che Ettore Majorana (che in teoria oggi avrebbe 108 anni) abbia vissuto a lungo, sotto falso nome in Venezuela e prima, molto probabilmente, in Argentina. Per chiudere definitivamente il cerchio, basterebbe la cooperazione del governo di Caracas che, però, ha sempre rifiutato di aiutare il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e la sua squadra.
La storia comincia quando la trasmissione Chi l’ha visto?, sulle tracce di un anziano signore siciliano di nome Majorana, rintraccia un testimone che dice di averlo visto. Il giornalista che va ad intervistarlo si rende conto immediatamente che quello che ha conosciuto l’ex emigrante Francesco Fasani è un altro e ben più famoso Majorana: Ettore, il fisico. Ci vuole poco perché a quel punto i magistrati e i carabinieri del Ris si mettano a lavorare sulla ricostruzione e i documenti consegnati da Fasani, e aggiungano i pezzi mancanti.
IL SIGNOR BINI
Il racconto di questo ex emigrante, poi rientrato in Italia, è già piuttosto dettagliato. Francesco Fasani dice di aver conosciuto nella comunità degli emigranti italiani a Valencia un uomo elegante, dal carattere sempre molto schivo, alla guida di una tedesca Studebaker: si faceva chiamare «Signor Bini». I due diventano amici, anche se, più giovane e un po’ intimorito, Fasani non chiede mai che lavoro faccia Bini né quale sia il suo nome di battesimo.
Di lì a poco, in cambio di un prestito in denaro, Francesco convince il sempre restio Bini-Majorana a fare un’eccezione e lasciarsi fotografare. È la foto da cui riparte l’inchiesta della procura di Roma: accanto alla data, 12/6/55, Fasani ha scritto già allora “Bini Majorana”. I Carabinieri del Ris ci hanno lavorato a lungo e le conferme sembrano essere molte. I punti “fissi” del viso del giovane Majorana e dell’anziano Bini sembrano coincidere praticamente tutti. E Bini è enormemente somigliante al padre di Majorana quando aveva cinquant’anni (l’età dell’oscuro emigrante al momento della fotografia). Anche i tratti del carattere sembrano coincidere. Un parente da parte di madre, Stefano Roncoroni, ha messo in evidenza nel libro “Majorana, lo scomparso” che il fisico fosse affetto dalla sindrome di Asperger che lo portava ad essere schivo, tendente alla depressione, disinteressato alla relazioni sociali.
LA CARTOLINA DI QUIRINO
Ma c’è poi una seconda coincidenza, inequivocabile. Un giorno, Fasani si offre di aiutare Bini-Majorana a ripulire la bella Studebaker, sempre ingombra di carte. E all’interno trova una cartolina di Quirino Majorana, zio di Ettore e professore di Fisica a Roma. Nella cartolina, lo studioso accenna ad un collega americano (E.W.G. Conklin, mai rintracciato) i suoi studi sulla natura della forza di gravità. Perché un emigrante italiano in Venezuela dovrebbe avere una lettera del genere?
IL RACCONTO
Infine, c’è il racconto su come Fasani abbia appreso il vero nome del signore così gentile. Un giorno, Bini si offre di accompagnare il giovane Checchino al lavoro, nello stabilimento Nardin Guzzi del “signor Carlo”. E quando la macchina riparte è quest’ultimo a fare per la prima volta il nome del fisico: «Ma lo sai chi è quello? Quello è uno scienziato, è il signor Majorana». Ce ne sarebbe abbastanza per tirare le fila, ma servirebbe che dal Venezuela arrivasse un documento d’identità o una patente di guida. Su sollecitazione della procura, il ministero degli Esteri italiano ha insistito a lungo senza successo. Se Caracas non risponderà entro la fine dell’anno, il procuratore aggiunto Laviani potrebbe essere costretto ad archiviare con l’ennesimo mistero, la scomparsa del padre della quantistica.