la Repubblica, 2 dicembre 2014
Pensavamo che fosse un incubo ormai passato, invece l’Hiv uccide ancora, e parecchio. In Africa soprattutto, ma anche in Italia, nel resto d’Europa e in particolare in quella Orientale. Solo nel 2013 oltre un milione e mezzo di vittime nel mondo. In Russia i contagi crescono del 10% l’anno, ma il Cremlino non interviene
Ammettiamolo, ce n’eravamo un po’ dimenticati, relegandolo tra gli incubi ormai superati dopo le angosce degli Novanta. Eppure l’Aids continua a uccidere. Solo nel 2013 ha fatto oltre un milione e mezzo di vittime. E ha colpito ovunque. In Africa soprattutto (un milione e mezzo di nuovi casi all’anno), ma anche in Italia, nel resto d’Europa e in particolare in quella Orientale. Tanto che a Mosca, per la prima volta, perfino i vertici della Sanità ammettono di essere in piena emergenza. L’occasione di ieri, giornata mondiale contro l’Aids, è almeno servita a ricordarci che il pericolo è tutt’altro che scampato: oltre 35 milioni di persone sul Pianeta convivono con il virus dell’Hiv e solo meno della metà è trattata con le speciali terapie retrovirali che ostacolano il conclamarsi della malattia. All’Italia spetta il non gradito record del Paese maggiormente colpito in Europa con i 1.700 morti del 2013 e una media di oltre 4mila contagi l’anno che hanno portato il numero di sieropositivi accertati a più di 140mila. Causa del disastro? Aver dimenticato quella che resta tuttora la pandemia più letale al mondo. Succede così che i giovani italiani tra i 16 e i 34 anni, sondati dalla Doxa, ammettano di non fare quasi mai sesso protetto.
E se l’ignoranza è spesso letale, la situazione diventa disperata in Russia dove l’Aids viene ancora percepita come una malattia di cui doversi vergognare. In Russia ci sono 860mila casi accertati di infezione da Hiv. Il tasso di crescita è di oltre il 10 per cento all’anno. «Ma le cifre reali sono almeno il triplo – ammette Aleksej Mazus specialista del Ministero della Sanità – Molti preferiscono lasciarsi morire piuttosto che marchiarsi d’infamia». Ma se anche venissero allo scoperto, gli infetti da Hiv non troverebbero il modo di curarsi. I retrovirali si trovano con grandi difficoltà.
La fama delle due categorie ritenute più vulnerabili, omosessuali e tossicodipendenti, non stimola certo una campagna di prevenzione in un Paese dove si tende a nascondere l’impennata dell’uso di droghe e dove i diritti gay sono repressi. Ma le cose stanno cambiando. I nuovi infetti fanno parte di categorie nuove. Sono al 49 per cento donne tra i 25 e i 35 anni, lavoratori, esponenti della classe media, e di istruzione medio alta. E il suggerimento è lo stesso che vale anche per noi italiani: “Informarsi e stare in guardia”.