La Stampa, 2 dicembre 2014
Il ragazzo invisibile, il primo Harry Potter all’italiana firmato Salvatores: «Girare un fantasy è un’arma a doppio taglio, da una parte hai molte più immagini a disposizione, puoi inventare, dall’altra devi rendere credibile una cosa incredibile»
Si chiama Michele, ha gli occhi azzurri, i capelli biondi, una madre poliziotta (Valeria Golino), una ragazzina che gli piace moltissimo (Noa Zatta) e due compagni di scuola che lo perseguitano con scherzi da bulli. Essere adolescenti è difficile, talmente complicato che, per venirne fuori, ci vorrebbe la bacchetta magica. Magari quella di un regista premio Oscar che non ha paura di mettersi alla prova, di cambiare sempre, di girare un film, Il ragazzo invisibile (dal 18 in 400 sale) che potrebbe aprire una nuova saga, una specie di Harry Potter all’italiana, completo di romanzo, fumetto e soprattutto personaggi aperti a futuri, appassionanti sviluppi.
Finalmente un supereroe «made in Italy», un ragazzino che diventa invisibile. Che cosa l’ha spinta a lanciarsi in quest’impresa?
«Quando ho vinto l’Oscar per Mediterraneo, ero solo al mio terzo film, ho provato un certo senso di colpa, mi chiedevo “perché proprio a me?” È pericolosissimo pensare di meritare una cosa del genere... Così mi sono detto che forse mi era stato conferito un super-potere, una grossa responsabilità, e che poi, nella vita, avrei potuto restituire qualcosa, anche provando a fare cose che altri non farebbero. In questo caso mi ha interessato prendere un immaginario e provare a re-inventarlo. Chi oggi ha 35 anni è cresciuto con il fantasy, ma in effetti, guardando indietro, anche l’Iliade e l’Odissea erano pieni di supereroi... basta pensare a Achille e al suo tallone».
Perché a diventare invisibile è un ragazzo e non un adulto?
«L’adolescenza è un momento particolarmente critico, si devono fare delle scelte, ma la razionalità non è completamente formata, si vive di eccessi, immense gioie e immense tragedie, non si hanno preconcetti.. è l’età in cui tutto può succedere. Al nostro protagonista accade di essere molto più visibile, proprio quando diventa invisibile...».
Una volta super-eroe, Michele (Ludovico Girardello) dovrà misurarsi anche con la tentazione di passare dalla parte dei cattivi...
«Sì, per un adolescente la scelta della devianza può essere attraente, e invece la vera grande impresa è essere normali».
Come è stato per lei girare un fantasy?
«È un’arma a doppio taglio, da una parte hai molte più immagini a disposizione, puoi inventare, dall’altra devi rendere credibile una cosa incredibile e, in questo senso, più sei vero più ci riesci».
Ha preferenze tra i supereroi?
«Sì, mi è piaciuto moltissimo il primo Spiderman e poi la saga di X-Men».
Se potesse scegliere, quale super-potere vorrebbe?
«Proprio l’invisibilità, ovvero la possibilità fantastica di entrare nelle vite degli altri e poi scomparire. Se diventassi invisibile farei per prima cosa quello che fa Michele, entrerei nello spogliatoio delle ragazze».
Il film mette anche all’indice il bullismo.
«Su quel tema bisognerebbe fare un film apposta. Comunque sì, Michele fa i conti con quel problema. In genere i ragazzi che fanno i bulli devono rifarsi sugli altri perché nelle loro famiglie c’è qualcosa che non va. Insomma, i cani mordono se i padroni sono aggressivi».
La storia e i personaggi del «Ragazzo invisibile» contengono la possibilità di un seguito. Se ci fosse, su cosa lo punterebbe?
«C’è tutto un lato dark da approfondire, farei una specie di Boyhood, da sviluppare in età diverse».
Un cast di giovanissimi: come li ha scelti e come ha lavorato con loro?
«Per trovare il protagonista abbiamo fatto 450 provini... quando si lavora con i ragazzi non si può pretendere la tecnica, bisogna trovare chi abbia dentro qualcosa del personaggio che dovrà interpretare».
Come in tutte le avventure, ci sono corse, esplosioni, acrobazie..
«Il capo stuntmen era lo stesso di Ridley Scott, ha fatto entrare i ragazzi in un mondo incredibile, fatto di cavi, salti appesi a un filo, abbiamo messo le sequenze delle prove sul set nei titoli di coda, speriamo che il pubblico resti a vederle».