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 2014  dicembre 02 Martedì calendario

La guerra del greggio. Il petrolio scende a 67 dollari al barile e Putin minaccia l’Europa: «Chiudo l’autostrada del gas»



Uno schiaffo all’Europa. Vladimir Putin vola ad Ankara e spiega che Mosca è pronta a dire addio al progetto South Stream, l’autostrada del gas da 16 miliardi che vede l’Italia in prima fila, visto che Eni è il primo partner di Gazprom nella costruzione del gasdotto. Non solo: lo Zar è pronto a «riorientare il gas russo verso altre regioni del mondo», in primis la Turchia, una manovra che taglierebbe fuori dagli approvvigionamenti i Paesi centrali del Vecchio Continente. «L’atteggiamento della Commissione europea è stato controproducente», ha detto Putin riferendosi al blocco del progetto imposto a seguito delle sanzioni dopo la crisi in Ucraina. 

La Bulgaria, pressata dall’Ue, non ha ancora dato luce verde per il passaggio del gasdotto sul proprio territorio. Sofia, ha detto il presidente russo, «dovrebbe chiedere i danni a Bruxelles per i mancati guadagni» che avrebbe con South Stream. 
La posizione europea, ruggisce il capo del Cremlino, «non favorisce gli interessi economici dell’Ue e danneggia la nostra cooperazione. Ma questa è la scelta dei nostri amici europei». In effetti l’Europa ha ribadito più volte che il progetto non è una priorità e che occorre puntare sulla diversificazione delle forniture. A confermare il cambio di passo di Mosca, che in passato aveva paventato lo stop al progetto senza mai passare agli atti concreti, Putin ha spiegato che la Turchia sarà uno dei primi Paesi «beneficiari» della nuova politica energetica russa. Nei piani del Cremlino c’è un nuovo gasdotto lungo il confine greco-turco, una «pipeline» con una capacità annuale di 63 miliardi di metri cubi. Per l’Eni la mossa di Putin non è un fulmine a ciel sereno. Dopo gli avvertimenti dell’ex ad Paolo Scaroni, che già a marzo parlava di «futuro fosco» in seguito allo scontro Mosca-Kiev, a inizio novembre era stato il nuovo capo-azienda, Claudio Descalzi, a chiarire che, al massimo, il gruppo può impegnarsi per i 600 milioni previsti dal budget, altrimenti l’uscita dal progetto sarebbe una possibilità concreta.
Mosca intanto soffre il ribasso dei prezzi del petrolio, con il rublo che cola a picco. Il greggio, infatti, ieri ha proseguito la picchiata: le quotazioni del Brent sono scese fino a 67 dollari al barile, e il Wti è piombato a 63,7 dollari, un livello mai toccato dal luglio 2009. Non è un caso che negli Usa ad ottobre le nuove licenze per la trivellazione dei bacini di «shale oil» siano calate del 15%.